DE ZAN, DOPO TANTE BUGIE
ALLA RICERCA DELLA VERITÀ
SU MARCO PANTANI

DE ZANLECCO – “Cercare la verità sepolta da una spessa coltre di menzogne”. Questa è la ragione che ha spinto il giornalista sportivo Davide De Zan – noto volto di Mediaset – a scrivere il libro che è stato presentato nella sala conferenze di Palazzo Falck: “Pantani è tornato”. Il giornalista in questo volume racconta una serie di fatti che mostrano quanta poca chiarezza ancora ci sia attorno a quelli che egli definisce “i due luoghi del crimine” in cui il campione del ciclismo sarebbe stato ucciso.

Il primo riferimento è al 1999 quando a Madonna di Campiglio durante il Giro d’Italia “il Pirata” viene sorpreso da un controllo medico con un valore di ematocrito di due punti più alto rispetto al consentito. Nel libro De Zan elenca una serie di indizi che farebbero pensare che il sangue del ciclista sarebbe stato manipolato. Innanzitutto, afferma il giornalista, la voce che a Madonna di Campiglio Pantani sarebbe stato “beccato” girava da diversi giorni; informazione questa confermata da un’intervista di Renato Vallanzasca in cui il criminale sostiene di aver avuto la dritta di scommettere contro il campione, perché quell’anno non avrebbe mai vinto il Giro.

LIBROInoltre la sera del 4 giugno 1999 – il giorno prima del controllo medico – Marco Pantani sapendo dell’imminente test, si sarebbe esaminato da solo il proprio sangue e dei testimoni avrebbero confermato che il valore dell’ematocrito era 48 e quindi nella norma. Proprio per questo il giorno seguente, nonostante alcune irregolarità commesse dai medici dell’Unione Ciclistica Internazionale, il campione si fece controllare il sangue con la massima tranquillità e rimase atterrito quando i risultati riportarono un valore fuori norma: ematocrito a 52. Già attorno a questa circostanza rimangono due punti oscuri. Il primo è che anche il valore delle piastrine risulta da quell’esame molto basso (100mila unità) e molti medici affermano con certezza che il crollo delle piastrine è una delle conseguenze della manipolazione artificiale di un campione di sangue volto ad alterare i valori di ematocrito. Il secondo consiste nel fatto che i successivi test a cui Pantani si è sottoposto in un ospedale pubblico hanno dato esiti del tutti diversi: ematocrito e piastrine erano completamente nella norma.

Ma andiamo avanti. A Madonna di Campiglio “il Pirata” non era stato sottoposto ad un test anti-doping, ma ad un semplice “esame di tutela della salute” quindi avrebbe potuto scontare i suoi 15 giorni di sospensione e ripartire, poiché non aveva ricevuto nessuna squalifica. Come sappiamo non è andata così. Pantani non reagisce perché si sente un uomo innocente a cui hanno teso un tiro mancino, chi lo conosce bene sa che con quel test gli hanno strappato l’anima” e da lì infatti la vita del campione precipita e la sua deriva nella cocaina è stata probabilmente l’unica risposta in grado di anestetizzare il dolore.

DE ZAN2E così arriviamo al secondo “luogo del crimine” indicato De Zan: la sera del 14 febbraio 2004 Marco Pantani viene trovato morto nella stanza di un residence di Rimini. Le contraddizioni che regnano attorno a questo secondo tragico evento della vita del ciclista sono palesi. A cominciare dalla causa della morte: tre medici diversi con tre referti diversi ne danno tre spiegazione diverse: dal suicidio volontario per assunzione di psicofarmaci a morte accidentale per aver ingerito cocaina in quantità sei volte superiore a quella letale. A prescindere da quale sostanza abbia provocato la morte del campione, la stanza è stata trovata letteralmente devastata, senza che nessuno abbia sentito rumori molesti e senza che il cadavere abbia riportato segni, lividi o escoriazioni. Durante la prima indagine nessuno ha poi indagato sui segni di trascinamento del corpo e nessuno ha interrogato il personale medico che per primo è intervenuto. Queste discordanze, assieme alle altre (circa una ventina) illustrate da De Zan nel suo libro, hanno convinto altre due procure (quella di Rimini e quella di Forlì) a riaprire il caso, ipotizzando il reato di omicidio volontario e il giornalista ipotizza che con tutti questi punti su cui è necessario ancora far luce, nessun magistrato o giudice potrà archiviare il caso troppo in fretta.

Manuela Valsecchi