DRAMMA DI PARIGI/L’OPINIONE:
“NON GUERRA MA SEGNALE DI DISAGIO E MANCATA INTEGRAZIONE”

LECCO – “I drammatici fatti di Parigi sono il segnale d’insufficienza d’integrazione. E’ la manifestazione di un disagio sociale che viene pilotato da interessi e scopi esterni, abili nel strumentalizzarlo”.

Giorgio RedaelliLa riflessione proviene da Giorgio Redaelli, presidente di Les Cultures, l’associazione lecchese da quasi vent’anni impegnata a creare ponti tra chi arriva in Italia da altri Paesi. Parla a titolo personale, ma l’esperienza accumulata gli permette lucidità in una riflessione complessa, una volta superata rabbia, incredulità e voglia di giustizia.

Dire che siamo in guerra, come ha affermato il presidente francese Hollande, e definire i protagonisti di questa violenza estrema come corpi estranei significa mettersi contro pezzi di sé”. Un pensiero audace ma ben spiegato: “Pare ci siano dei francesi, potremmo scoprire essere dei giovani di 20-30 anni, figli di un forte disagio sociale, di una integrazione fallita o inesistente. Negli attentatori non vedo molta differenza dai ragazzi nelle curve violente di alcune tifoserie, dallo studente statunitense armato che entra nella propria scuola a fare una strage, dall’estremista di destra norvegese che ha ammazzato duecento suoi coetanei su un’isola perché li credeva comunisti”.

L’emarginazione fonte di un forte, rancoroso bisogno di combattere “nemici”, forze lasciate libere che diventano deflagranti? Come si riesce a farci fronte e a ritornare a vivere tranquilli?
A parte la Gran Bretagna, l’Europa non ha ancora ragionato profondamente sull’immigrazione extraeuropea e sull’incontro di culture che essa comporta. Si è limitata a importare forza lavoro e pilotarla finché il fenomeno è rimasto funzionale e controllabile. Ora le cose stanno cambiando. Quindi è necessario davvero pensare a seri strumenti d’integrazione”.

Non è anche un problema d’identità, questi nuovi cittadini confinati in situazione vicina alla povertà vengono accomunati da una lingua e da una religione?
Le identità si costruiscono a seconda della necessità, altrimenti non si spiegherebbero le migliaia di ‘Not in my name‘ postati nei social network da persone di cultura araba in tutti i paesi del mondo. Stanno dicendo: questi attentatori non mi rappresentano”.

Non fa impressione che una minoranza assoluta, un manipolo di forse dieci persone riesca a mettere in ginocchio una capitale come Parigi e vanificare lo sforzo di anni e di milioni di persone impegnate a vivere in pace anche se differenti?
Ripeto: mossi da interessi esterni e ben organizzati, questi attacchi hanno messo a nudo la fragilità di un sistema alquanto complesso come quello della capitale della Francia. Hanno saputo colpire i punti deboli e instaurare la paura, un sentimento disgregante rispetto alle relazioni sociali. L’obiettivo potrebbe essere quello di creare un clima e quindi una mentalità orientati al difendersi, al chiudersi. Nel momento in cui si è impegnati nella difesa non si va avanti. È un tentativo di fermare l’Europa”.

Sembra un vicolo cieco, come se ne esce?
Lavorando per l’integrazione, l’unica in grado di evitare la creazione di forti sacche di disagio nel quale s’innesta l’esasperazione che porta all’esaltazione, al sentirsi forti fino al punto di farsi saltare in una discoteca. Bisogna creare le condizioni per le quali uno non debba vedersi diverso per la razza, la religione e ovviamente il denaro. Essere poveri, emarginati e senza prospettive espone alla strumentalizzazione di forze che hanno obiettivi ben diversi da quelli che vengono prospettati. Ma per fare ciò è necessario aprire spazi, lavorare per la dignità, creare progetti di integrazione dove ci sia spazio per l’impegno, il lavoro e l’orgoglio di ciascuno. Non è facile e non è immediato, ma urgente”.