INAUGURA IMMAGIMONDO:
PROTAGONISTA IL RUANDA
TRA PASSATO E FUTURO

LECCO – La ventiduesima edizione di Immagimondo ha aperto i battenti. Il festival di viaggi, luoghi e culture organizzato dall’associazione Les Cultures riparte dalla Torre Viscontea e dall’inaugurazione della mostra fotografica Rwanda, 100 more days di Giovanni Mereghetti.

Il ricco programma di quest’anno prevede incontri, conferenze, racconti di viaggio, presentazioni di libri, documentari e reportage da tutto il mondo che continueranno fino al 4 ottobre, con i tradizionali appuntamenti di I Viaggi dell’Anima a Civate il 21 e 22 settembre e Tutto il mondo a Lecco dal 27 al 29. La mostra sarà invece aperta al pubblico dal 15 settembre al 6 ottobre.

“È con grande soddisfazione che ospitiamo questa mostra, con la quale inauguriamo la nuova stagione di esposizioni dopo la pausa estiva – racconta l’assessore alla cultura Simona Piazza Il merito va ovviamente all’associazione Les Cultures che da ventidue anni organizza questa rassegna. Quest’anno la mostra è particolarmente significativa perché dedicata a un evento, il genocidio in Ruanda, del quale ancora oggi si conosce e non si conosce.

Trovo importante e necessario che venga affrontato in questo modo il tema della memoria, il mio auspicio è che possa avere un valore didattico e educativo affinchè non si ripetano simili tragedie. Confidiamo che, con la ripresa delle scuole, molti ragazzi vengano a visitarla”.

La scelta del tema è tutt’altro che casuale: quest’anno ricorre il venticinquesimo anniversario del genocidio, da quel 6 aprile 1994 che diede il via a 100 giorni di inferno durante il quale in Ruanda furono massacrate a colpi di machete e armi da fuoco più di un milione di persone.

“La mostra porta la firma di Giovanni Mereghetti, fotografo di origini lecchesi con il quale abbiamo collaborato in passato e che ha dedicato il suo lavoro a tematiche sociali e di ricerca antropologica – ha spiegato il presidente dell’Associazione Giorgio Redaelli Abbiamo uno dei nostri soci fondatori, Schadrac, che è originario del Ruanda e vive da tanti anni a Lecco.

Lui si è messo in contatto con Mereghetti e gli ha permesso di accedere a luoghi come il memoriale del genocidio. Il titolo fa riferimento agli “altri 100 giorni”: cento sono stati i giorni del genocidio, cento sono i giorni che rappresentano il futuro, un Paese proteso in avanti e che vuole tornare alla normalità”.

La mostra è il risultato di un viaggio in Ruanda di un anno e mezzo fa e vuole essere un reportage sul Paese di oggi. Gli scatti in bianco e nero realizzati nella capitale Kigali e in altre zone più rurali rappresentano la quotidianità degli abitanti, brulicante di vitalità e invasa dai simboli della modernità come gli smartphone. Parallelamente un’altra serie di foto scattate all’interno del memoriale simboleggia la volontà dei ruandesi di rielaborare il trauma e le ferite del passato.

Ospiti della serata erano i rappresentanti di Ibuka Italia, costola italiana di un’associazione presente in diversi Paesi europei e africani che riunisce sopravvissuti, esuli ruandesi e parenti delle vittime. Ibuka organizza ogni anno la commemorazione del genocidio e si impegna per perpetuare il ricordo dei tragici fatti del 1994.

La follia di quei giorni rivive nelle parole di Jean Pierre Kagabo, che dal 2012 abita in provincia di Milano con la famiglia. “Il genocidio dei tutsi non è stato improvvisato, c’è stata una preparazione meticolosa dello sterminio. Le divisioni etniche tra hutu e tutsi prima non esistevano, sono state introdotte e accentuate dai colonizzatori belgi. Ricordo che a scuola ci veniva chiesto di alzarci, prima gli hutu e poi i tutsi. Così si certificava questa divisione, come con il timbro posto sulla foto sui nostri documenti”.

Nel 1994 Jean Pierre aveva diciotto anni. “Il 6 aprile ero con mio fratello in un locale per seguire una partita di calcio. A un certo punto un cameriere venne verso di noi e ci disse che l’aereo dell’allora presidente Habyarimana era stato abbattuto (L’evento fu all’origine della rappresaglia contro gli “scarafaggi” tutsi, come li definiva la radio governativa che incitava allo sterminio). Io non ho capito subito cosa stava per succedere, ma da quel giorno non ho più rivisto i miei genitori e altri membri della mia famiglia. Io e mio fratello tornammo a casa e ricordo che per tutta la notte e il giorno successivo abbiamo sentito il rumore di sparatorie continue. Mio fratello ha trovato una persona che si è offerta di accompagnarmi da una zia fuori città, mentre lui e mio cugino sono stati uccisi”.

Il massacro si fermò con la fine degli scontri tra l’esercito di Liberazione di Paul Kagame e le milizie governative hutu.”Ho trascorso il periodo degli scontri in orfanotrofio. Il governo di Kagame ha dovuto ricostruire il Paese da zero e ha preso iniziative importanti, come il pagare gli studi ai bambini orfani sopravvissuti e l’istituzione di un tribunale popolare per perseguire gli autori del genocidio”.

Il 28 settembre alle 17 è in programma una visita guidata alla mostra per approfondire la storia di questi tragici avvenimenti.