MEDICINA/IL RAME IN ECCESSO CHE CAUSA LE DEMENZE

Alla Cattolica di Milano venerdì gli esperti spiegheranno come scoprirlo con un test e i modi per correggerlo – di Edoardo Stucchi

rame tubazioni

MILANO – Per i milioni di individui nel mondo che in futuro potranno soffrire di demenza (ora sono 24 milioni, il 70% dei quali sono colpiti dalla malattia di Alzheimer) è in arrivo una speranza dall’Italia: la possibilità di intervenire su uno dei fattori di rischio per le demenze, l’eccesso di rame, sostanza ingerita attraverso gli alimenti e dall’acqua che scorre in tubature che rilasciano questa sostanza. Sulla base di alcune ricerche, infatti, l’eccesso di rame, quello inutilizzato dall’organismo, scorre libero nel sangue e va a favorire l’accumulo delle placche che danno origine alla demenza e poi all’Alzheimer.

Venerdì 25 ottobre se ne parlerà all’università Cattolica del Sacro Cuore a Milano e gli esperti sveleranno gli studi sul ruolo del rame nello sviluppo dell’Alzheimer. A promuovere l’evento è una società italiana di ricerca nel campo biomedico, Canox4drug,  nata nel 2012, con l’obiettivo di realizzare strumenti innovativi per la diagnosi precoce e la cura di malattie neurodegenerative. Tra queste la malattia di Alzheimer, la forma più comune di demenza che ad oggi risulta praticamente incurabile.

Un’equipe di ricercatori dell’Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca (AFaR) ha studiato per quasi un ventennio migliaia di pazienti affetti da Alzheimer dimostrando che  nella forma sporadica tardiva esiste una relazione tra il declino cognitivo e i livelli di rame non proteico presente nel sangue. Valori  in eccesso di questo rame sono tossici e aumentano il rischio di ammalarsi di Alzheimer. “L’interesse verso questo fattore di rischio – spiega il professor Paolo Maria Rossini, direttore del dipartimento di neuroscienze dell’Università cattolica di Roma – deriva dal fatto che l’eccesso di rame può essere corretto con appropriati interventi terapeutici alimentari e con integratori che saranno oggetto di studi clinici in un prossimo futuro”.

Al convegno prenderanno parola professionisti del settore: Stefano Cappa, professore ordinario di Neuropsicologia all’Università S. Raffaele di Milano che interverrà in merito ai marcatori neuropsicologici. Il professor Alessandro Padovani, direttore della Cattedra di Neurologia e della Scuola di Specializzazione in Neurologia di Brescia, analizzerà invece i marcatori generici e biologici. A conclusione della prima parte, il vice direttore scientifico dell’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia, Giovanni Frisoni (responsabile del programma di Disturbi cognitivi all’Ospedale Universitario di Ginevra e Vicedirettore scientifico dell’Irccs San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Brescia), presenterà i marcatori neuro radiologici e di flusso/metabolismo.

Il Professor Massimo Gennarelli dell’Istituto di Genetica Medica dell’Università di Brescia, proporrà l’intervento “Determinanti genetici del metabolismo del rame”. A seguire la Dottoressa Rosanna Squitti (la neurobiologa dell’AFaR a cui va riconosciuta la paternità delle ricerche sul rame)  affronterà l’argomento “Metabolismo del rame nella malattia di Alzheimer: 10 anni di evidenze”. La conclusione del convegno sarà dedicata all’illustrazione del nuovo Test per la rilevazione del rame in eccesso, a cura del Professor Nicola Antonio Colabufo. Il test è stato messo a punto proprio perché l’eccesso di rame può essere curato con una terapia alimentare, con cibi a basso apporto di rame. Basta un prelievo di sangue e l’apparecchio, già utilizzato al Gemelli di Roma e in altri centri italiani,  è in grado di quantificare il rame in eccesso.

“La bontà della ricerca – dice la dottoressa  Rosanna Squitti, neurobiologa dell’AFar cui va riconosciuta las paternità della ricerca sul rame –  sta nel fatto che confrontando due gruppi di persone con malattia lieve di deficit cognitivo, a 4 anni di distanza il 50% dei malati con più alto valore di rame si sono ammalati di demenza, mentre fra il gruppo con valore di rame normale, l’incidenza dalla malattia ha riguardato soltanto il 20%. Questo perché molti sono i fattori di rischio per  l’Alzheimer, su molti dei quali non si può intervenire”.

 

 

 

 

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