RUBRICA SULLA BUONA STRADA:
LETIZIA LOSA DA HAITI AL PERÙ,
ESTATI DI SERVIZIO E SCOPERTA

CALOLZIOCORTE – Una Giornata della condivisione organizzata dalla parrocchia può cambiarti la vita? Per Letizia Losa – 22 anni e studentessa di ingegneria biomedica – la risposta è sì.

Letizia frequentava le scuole elementari quando una ragazza, nel tentativo di spiegare la realtà che aveva incontrato in India, ha proposto ai bambini della parrocchia di Sala di condividere la merenda. Secondo regole precise: a pochi bambini sarebbe toccato sedere a un tavolo ricoperto di torte, mentre tutti gli altri si sarebbero dovuti accontentare di qualche pagnotta distribuita sul pavimento. Così Letizia ricorda l’episodio: “Non ho esitato un attimo, con uno scatto ho afferrato una pagnotta e, senza dire niente a nessuno, ho iniziato a mangiarla. Non mi sono guardata intorno, non ne ho offerto nemmeno un pezzo”.

In quel momento, si è accesa la consapevolezza “che intorno a me c’era qualcosa che non andava, perché quando ho capito la situazione, mi sono sentita tutto tranne che sazia. Anzi, dentro di me negli anni è cresciuta una strana fame di giustizia, di conoscenza, di sentirmi vicina a chi era lontano, come se potessi restituire almeno le briciole che avevo rubato”.

Per questo motivo, nell’estate del primo anno di università, Letizia ha deciso di partire per Haiti con il Centro Sportivo Italiano per il Mondo, un’associazione che tenta di portare lo sport nelle periferie dei Paesi in via di sviluppo. L’impatto con la realtà di Port-au-Prince è stato duro: “Niente di idilliaco o emozionante come mi ero sempre immaginata. Mi sono accorta subito che anche quella felicità che dicono abbia solo chi ha meno, era piuttosto una ordinaria rassegnazione di fronte alla dura realtà della baraccopoli”. È stato immediatamente chiaro “che non avrei salvato nessuno e che invece ogni centimetro di fiducia me lo sarei dovuto guadagnare spogliandomi di ogni mia convinzione”. Ogni schema di Letizia è stato quindi completamente ribaltato: l’idea di divertimento e dello stare insieme, perché spesso minacciati da episodi di violenza; il concetto di sport e allenamento, perché non si riusciva nemmeno a organizzare un gioco semplice come “mago libero”; l’ideale di giustizia, quando non c’era cibo a sufficienza per tutti i bambini presenti.

Di contro a un iniziale senso di inadeguatezza e di inutilità, giorno dopo giorno in Letizia è germogliata la certezza che il suo compito nel quartiere di Corail poteva essere “donare ricordi felici, perché solo un bambino che ha conosciuto la Bellezza, sarà un adulto capace di ricercarla”. E allora la pelle – pelle bianca, inizialmente guardata con diffidenza e rifiutata – che a fine giornata è “sporca, scottata e sudata è il vestito migliore che potrei mettermi”.

Ma quella ad Haiti non rimarrà un’esperienza isolata, perché Letizia trascorrerà l’estate successiva in Perù, mettendosi a disposizione di alcune missioni dell’Operazione Mato Grosso. A Chimbote si è confrontata con un’immensa baraccopoli abitata dai campesinos, i contadini scesi dalle Ande verso la città in cerca di fortuna. Nella parrocchia di padre Samuele, ha contribuito alla costruzione di case, “alcune in cemento, altre in pannelli di legno e tetti in lamiera, ma comunque delle dimore che fossero il più possibile dignitose”. Di nuovo, le prime giornate si sono rivelate “tremendamente difficili, non solo per il fatto che non avevamo mai preso in mano un badile per fare del cemento a mano, ma soprattutto per il contatto ravvicinato con le persone, che diventa inevitabile quando entri nelle loro case e pretendi di farle nuove”. Letizia si è così accorta di avere a che fare “con una realtà in cui la povertà materiale era solo un aspetto di una miseria più profonda di chi ha perso i suoi punti di riferimento, finendo a vivere tra enormi distese di baracche”.

Ed è in mezzo al lavoro quotidiano che Letizia ha potuto comprendere più a fondo quello che già ad Haiti aveva intuito: “Non avrei salvato nessuno, ma sarebbero stati loro a salvare me”. Come? “Mi sono trovata da sola, in mezzo alle baracche e ai cani randagi senza sapere una parola di spagnolo: non pensavo di potercela fare”. Ma tra i mucchi di rifiuti un giorno è comparso Jesus, un bambino orfano di cui si prendeva cura la sorella di dodici anni: “Ha iniziato a portare alcuni dei miei sacchi e a indicarmi a quale porta bussare e a quale no. Dovevo farmi piccola come lui, chiedere aiuto ad altri, entrare con umiltà nelle loro case, dovevo lasciarmi guidare e aiutare”.

Dopo le settimane di lavoro a Chimbote, l’esperienza di Letizia in Perù si è poi conclusa a Lima, dove ha incontrato padre Ugo De Censi, il fondatore dell’OMG: “negli ultimi giorni in cui i nostri progetti cominciavano a prendere forma, ci hanno chiesto di smettere di fare e di guardare”. Un’occasione preziosa per riscoprire che “certe situazioni non le avremmo mai potute capire fino in fondo e per questo non avremmo mai potuto avere l’arroganza di poterle cambiare”. E così Letizia è tornata in Italia dopo aver imparato questo: “In noi non deve crescere il desiderio di cambiare, ma solo di accompagnare”.

Ileana Noseda

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