TEATRO E CINEMA: AL SOCIALE
“UNA GIORNATA PARTICOLARE”

LECCO – Quarant’anni fa, nel 1977, usciva nelle nostre sale cinematografiche Una giornata particolare, del grande regista Ettore Scola, che ci ha lasciati l’anno scorso. Si tratta di un film “culto”, grazie alle splendide interpretazioni dei protagonisti, Sophia Loren e Marcello Mastroianni, e alla storia potente e delicata (sceneggiatura di Scola e Ruggero Maccari). È il 6 maggio 1938, data indelebile per la Roma di Mussolini, che accolse in pompa magna la visita dell’alleato Hitler. Scarpe lustre, divise impeccabili, gagliardetti e cori esultanti: tutti i romani si avviano di buon’ora per partecipare alla parata. L’occhio della cinepresa però si ferma sugli interni di un condominio e scruta l’anima di chi è rimasto, per illustrare un’altra “giornata particolare”, lontana dalle grancasse del regime.

unagiornataparticolare©lanzetta-capasso037_iol7246Nella nota allo spettacolo teatrale la regista Nora Venturini spiega la sua scelta. Il progetto nasce con l’appoggio dello stesso Scola (l’adattamento è della moglie Gigliola), che purtroppo però non è riuscito a vederlo nella forma definitiva. Dunque un omaggio al Maestro, ma anche l’intento di riscoprire la teatralità della sceneggiatura:”due protagonisti, due storie umane si incontrano in uno spazio comune in cui sono ‘obbligati’ a restare, prigionieri. Fuori il mondo, la Storia, di cui arriva l’eco dalla radio”. Ciò che nel film era solo un sottofondo sonoro, sempre più opaco nella reboante retorica del regime, a teatro diventa anche immagine: la Storia è incombente e si materializza nei fotogrammi del cinegiornale Luce, che vediamo proiettato sul telo calato davanti alla scena.

La scenografia di Luigi Ferrigno, molto apprezzata dal pubblico lecchese, punta alla resa realistica e alla trasparenza. La povera cucina di Antonietta (lavandino, cassettiera, tavolo e lampada) è separata dal resto della casa da un corridoio-telo trasparente che fa intuire i vani degli altri locali. Al di sopra è ricavato un altro ambiente (tavolo, scrivania, librerie), l’appartamento di Gabriele, collegato con una scala esterna (visibile anch’essa in trasparenza) al piano inferiore, su cui si affacciano le finestre di Antonietta. Una ricostruzione mirabile che intende sottolineare l’unità di tempo e di luogo, offerta già dalla pellicola.

unagiornataparticolare©lanzetta-capasso057_iol6998Due solitudini si incontrano, complice un merlo che scappa dalla sua gabbietta: questo volo fuori dalle norme disegna la geometria asimmetrica e incontrollabile di nuove potenzialità e rapporti impensati. Antonietta è una casalinga di scarsa cultura, sfinita dalle faccende e dalle numerose maternità, moglie di un capo-usciere devoto al partito, ha una ingenuità disarmante, deformata dal fanatismo fascista. La Loren aveva dato al personaggio sensibilità e fierezza, gesti bruschi e disperata dolcezza. In questo ruolo difficile si cimenta ora Valeria Solarino, nota bellezza del grande schermo. Se il linguaggio del cinema può indugiare sui primi piani e inquadrare viso e occhi, a teatro l’attore è soprattutto corpo: la fatica della vita di Antonietta è resa da una pesante parrucca, schiena curva e passi strascicati. La Solarino parla con un forte accento siciliano quasi macchiettistico e smussa gli spigoli di ruvidità del personaggio, che diventa una figura inerme e fragile. Il vicino Gabriele, giornalista radiofonico appena licenziato dal regime perché omosessuale, è interpretato da Giulio Scarpati, notissimo al grande pubblico per la fiction Un medico in famiglia, ma impegnato anche a teatro.

Entrambi attendono. Antonietta ha una giornata tutta per sé, prima del ritorno dei suoi, e scopre che esistono uomini gentili, diversi dal marito padrone e adultero. Con Gabriele riesce addirittura a ridere, si sente considerata e rispettata. Gabriele invece attende l’arrivo della polizia che lo porterà al confino, è in uno stato di grande agitazione e cerca nella donna una compagnia e uno scambio di umanità.

unagiornataparticolare©lanzetta-capasso018_iol7206Purtroppo in alcuni punti lo scarto rispetto al modello filmico è evidente. Le punte drammatiche stentano ad emergere, come nella celeberrima scena della terrazza. Scarpati non riesce a restituire appieno la lacerazione del protagonista e non ha l’eleganza posata e meditativa di Mastroianni: il suo Gabriele risulta a tratti scattante e nevrotico, forse troppo didascalico nel voler mostrare ad Antonietta l’altra faccia della realtà. Se la scena iniziale del risveglio, con i preparativi per l’uscita del marito e dei figli, punta alla resa caricaturale, l’attenzione della regista è tutta per il personaggio di Antonietta, la cui maturazione però resta sul crinale dell’ambiguità. La scena finale è di effetto e non lascia molte speranze: i racconti entusiastici della famiglia tornata dal raduno sono in modalità off, per evidenziare che la donna ha la mente altrove, sente ma non ascolta. “Ora so che esisto“, aveva detto al vicino, e il suo atto di emancipazione è cominciare a leggere le prime righe dei Tre moschettieri, dono di Gabriele. Il marito però la reclama a letto. E Antonietta, dopo uno sguardo dalla finestra, mentre l’amico viene portato al confino, ripone il libro e spegne la luce, incamminandosi rassegnata verso la camera. Torna nel suo guscio di paura e sottomissione, mentre al piano superiore ora domina l’enorme bandiera con la svastica. Domani è un altro giorno. Di normalità: la dittatura continua, fra poco sarà la guerra e tutti ne saranno schiacciati.

Gilda Tentorio

Le foto sono di Lanzetta-Capasso, ricavate dal sito del Teatro Ambra Jovinelli di Roma.