TEATRO/”BERRETTO A SONAGLI”
AL SOCIALE UN PIRANDELLO
SECONDO VALTER MALOSTI

Teatro_della_Società-LeccoLECCO – Nel famoso saggio Pirandello o la stanza della tortura (1982), Giovanni Macchia spiegava che l’attualità di Luigi Pirandello sta nell’aver affrontato la crisi del teatro, per ricavarne nuove forme d’espressione. Oggi, epoca di crisi globale, la scena è pronta a rivitalizzare la portata dirompente dei testi pirandelliani? Un tentativo interessante è offerto dal regista e attore Valter Malosti, con la sua personale lettura de Il berretto a sonagli (produzione Teatro Dioniso – debutto ad Asti, novembre 2015), in tournée nazionale e al Teatro della Società di Lecco il 30 gennaio 2016.

Il Berretto a sonagli (novella e poi commedia) in origine era ‘A birritta ccu ‘i ciancianeddi, scritta nel 1916 in dialetto per l’attore Angelo Musco: andò in scena nel 1917 ma restò canovaccio inedito; solo successivamente Pirandello preferì pubblicare una versione per così dire edulcorata in lingua italiana, seguendo i tagli operati dall’attore.

Corna, vendetta, onore e pazzia. Donna Beatrice Fiorìca, divorata dalla gelosia, trama per creare lo scandalo e svergognare il marito che viene arrestato in flagranza insieme all’amante, moglie di Ciampa, il quale però dal canto suo pretende la riparazione del proprio onore: o la strage dei due colpevoli o la finzione della pazzia per Beatrice, la moglie tradita.

Se il meta-teatro e l’intellettualismo cerebrale vedranno la luce fra qualche anno (Sei personaggi in cerca d’autore è del 1921), in questa fase l’ambientazione siciliana e popolare forniscono il quadro per la rielaborazione grottesca e caricaturale del teatro borghese in voga. Ma già si intravedono gli ingranaggi inquieti di temi fondanti.

tatro berretto a sonagli 1 (foto franco rabino)

Malosti si cimenta per la prima volta con Pirandello e la sua operazione si caratterizza per un’importante novità, cioè il recupero del copione originario (senza i tagli successivi): godibile è la cadenza musicale del dialetto siciliano e la commedia ci guadagna nei toni, che si fanno accesi e sanguigni. Ad esempio la sete di vendetta di Beatrice, tutta tesa a svergognare il marito, viene calcata da quel «sporcificare», che poi invece in bocca a Ciampa («Mi avete sporcificato pubblicamente») diventa grido di protesta e abominio per lo sfregio.

Su questi colori, reali e metaforici, si può misurare il peso della pregevole lettura di Malosti, apprezzata anche dal pubblico lecchese. I colori sgargianti della caricatura si appuntano sui personaggi di contorno, ridotti a macchiette, sul crinale dell’esito comico: la Saracena (Paola Pace), imbellettata e volgare, in abito verde scollato, borsa e scarpe rosse; la lamentosa serva Fana (Cristina Arnone) sfoggia un pacchiano pendaglio con il Sacro Cuore di Gesù; il convincente Delegato (Paolo Giangrasso), preso da un imbarazzo “meccanico” che lo porta a marciare lungo il perimetro del palco; il fratello Fifì (Vito Di Bella), dandy in completo bianco tutto apparenza e diplomazia. Il vertice è raggiunto però dalla moglie di Ciampa (Roberta Crivelli), una bambolina che ancheggia provocante, la voce roca e cavernosa volutamente stonata, abito rosa shocking, velo di pizzo nero ornato in modo kitsch da una corona di fiori.

tatro berretto a sonagli 2 (foto franco rabino)A troneggiare però è la tonalità livida da farsa nera, che si concentra sui due personaggi principali. Ciampa (Malosti) dapprima ci appare come un signore bizzarro ma saggio, mentre espone la sua interpretazione del mondo come insieme di «pupi» e la famosa teoria delle «tre corde» della mente umana: quella “civile” regola tutti i nostri rapporti, basati sulla finzione sociale e l’ipocrisia; quella “seria” attiva il ragionamento e infine la corda “pazza” di chi esplode e non è più padrone di sé. Poi però entra in scena scarmigliato, con un’accetta, e diventa lui il burattinaio della situazione. Spiega che Beatrice, nella sua ansia egoistica di vendetta, ha urlato al mondo la verità di un triangolo: il libertino, la sgualdrina e il «becco», che ora sarà lo zimbello del paese (il berretto a sonagli del pettegolezzo). Se i verbali della polizia sono già pronti all’ambigua manipolazione, il ritorno all’ordine esige di ricomporre anche la maschera di Ciampa come marito onorato. In un discorso stringente, la sorte di Beatrice viene segnata: per il bene di tutti si dovrà dire che è pazza. E per essere giudicati pazzi, è sufficiente dire la verità, rivela amaramente Ciampa, lucido fino alla fine e aggrappato alla propria disperazione: folle e razionale a un tempo, fortemente inquietante.

Beatrice (Roberta Caronia) emerge nel ruolo di vera co-protagonista, nevrotica, tutta esaltazioni e prostrazioni sempre sopra le righe (talvolta con esiti un po’ fastidiosi), ben consapevole delle proprie armi seduttive eppure cieca nel suo vano delirio di emancipazione, che si spegne (forse con troppo slancio) nella parte finale quando, pedina nelle mani del trionfatore-Ciampa e schiacciata dalla società patriarcale, si arrende alla pazzia a cui la condannano.

tatro berretto a sonagli 3 (foto franco rabino)La scena ripete l’ossimoro di colori e orizzonte plumbeo. Sopra un pavimento rosso (simbolo di temperamenti accesi, sangue ed eros) c’è una pedana inclinata su cui è collocato un piccolo divano, relitto di un mondo borghese che sta per esplodere: letto di lacrime e di macchinazioni per Beatrice, panchina dell’ipocrisia conformista per gli altri. Beatrice si muove avanti e indietro sulla pedana a riquadri bianchi e neri, come fosse lo scacchiere della sua vita, che è pilotata dagli altri. Intorno, le quinte nere sono disposte a creare un effetto labirintico di entrate e uscite, mentre al centro domina un enorme specchio, che riflette le figure deformate, omaggio al pensiero pirandelliano che si piega sull’io per scoprirne le maschere e i riflessi posticci della società, nel perenne contrasto tra vita e forma.

 

Gilda Tentorio

Foto di Franco Rabino