DAL FASCINO/”AMERICAN BEAUTY”:
DI (OMO)SESSUALITÀ,
TRASGRESSIONE E MONOTONIA

american beauty«Ho quarantadue anni. Tra meno di un anno sarò morto. Naturalmente, io questo non lo so. E in un certo senso, sono già morto»: è questa una delle battute iniziali di American Beauty (1999), pronunciata dalla voce fuori campo – e per molti versi paradossale – di Lester Burnham (Kevin Spacey).

I Burnham sembrano la perfetta famiglia americana: hanno una bella casa a Los Angeles; un giardino pieno di rose rosse che Carolyn, la moglie, coltiva con amore; un lavoro sicuro; delle belle auto. Tuttavia, dietro a questa apparente felicità, si celano delle problematiche di non poco conto: la signora Burnham vorrebbe avere ancora più successo al lavoro; la figlia adolescente, Jane, non è compresa dai genitori; Lester si sente parte di una famiglia che non è più la sua, dove i sorrisi sono ormai di circostanza. La goccia che fa traboccare il vaso è Angela, la migliore amica di Jane, una ragazza di larghe vedute, attenta a seguire la moda e pronta a tutto pur di avere i riflettori puntati solo ed esclusivamente su di sé. Angela vorrebbe fare la modella e senza pudore racconta le sue avventure erotiche a una Jane molto più timida. Lester, che ormai non trova più la moglie attraente, diventa ossessionato dal corpo perfetto della giovane. Decide così di farla finita e di cominciare una nuova vita…

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