Sono anche oggi solo pochi versetti di vangelo eppure ci portano nel profondo del mistero di Gesù. Lo abbiamo visto, in molte pagine, descritto a predicare e far miracoli qui ci è raccontato – certo ben di più – della sua morte, che sappiamo bene non sia semplicemente cronaca. L’evangelista tiene molto a sottolineare la propria testimonianza di verità che rassicura quanto alle profezie e attesta “perché anche noi crediamo”. Gesù, nel suo sfinimento di morte, è cosciente che il proprio compito – quello affidatogli dal Padre – è ormai portato a compimento nel sacrificio, nell’immolazione. Ma questa dà possibilità all’offerta più grande, resa perenne ed attuale per noi: il dono dello Spirito. L’estremo gesto di Gesù, potremmo dire sia il più importante: la sua immolazione di vittima e sacerdote insieme, non tanto, né solo, compie la vita nell’obbedienza, ma lancia il futuro di salvezza nello Spirito per tutti gli uomini.
Tutto è adempimento di profezia, non solamente l’Alleanza con Dio – quanto l’antica nel sangue immolato –, fin la cronaca del (così falso) scrupolo di perbenismo religioso dei “Giudei” perché fossero tolti i cadaveri – a non contaminare la loro festa – avendone affrettato la morte con lo spezzar loro le gambe. Non al Signore Gesù perché fosse come agnello di Pasqua integro (Es 12,46); l’evangelista lo ricorda nei versetti subito seguenti i nostri. La già avvenuta morte – come volontaria donazione – di Gesù, sorprende i soldati giunti per il gesto falsamente pietoso dell’abbreviare sofferenza di morte col crudele intervento di spezzare loro le ginocchia: ma ecco il colpo di lancia – inutile gesto di odio –, così significativo non solo per Tommaso. E il fluire del sangue e dell’acqua, rimarcato dall’evangelista, perché, in ossequio alla profezia citata da Giovanni, volgessimo noi lo sguardo al trafitto, non solamente i soldati che vibrarono il colpo.
Acqua e sangue non registrano un fatto; sono – ben lo sappiamo – segni dei sacramenti, ma prima – questo dono a risposta di violenza d’odio – il sangue evoca il dono di sé per la vita, l’acqua richiama la forza della vita nello Spirito: proprio così il dono del Signore, nel battesimo, nell’eucaristia, nei sacramenti giunge perenne a noi. Il brano termina con quanto già dicevamo: la testimonianza di Giovanni tanto insistita; certo, non per metter sé in luce, né attestar solo nella storia, ma per la fede, la nostra fede, perché per noi fosse possibile quell’affidarci ad un Crocifisso che si è donato in immolazione per noi, lasciandoci suo segno perenne, anzi sua nuova presenza: lo Spirito.
Don Giovanni Milani