NELLA SESTA DOMENICA
DOPO LA PENTECOSTE
MEDITAZIONE DI DON G. MILANI

Sono anche oggi solo pochi versetti di vangelo eppure ci portano nel profondo del mistero di Gesù. Lo abbiamo visto, in molte pagine, descritto a predicare e far miracoli qui ci è raccontato – certo ben di più – della sua morte, che sappiamo bene non sia semplicemente cronaca. L’evangelista tiene molto a sottolineare la propria testimonianza di verità che rassicura quanto alle profezie e attesta “perché anche noi crediamo”. Gesù, nel suo sfinimento di morte, è cosciente che il proprio compito – quello affidatogli dal Padre – è ormai portato a compimento nel sacrificio, nell’immolazione. Ma questa dà possibilità all’offerta più grande, resa perenne ed attuale per noi: il dono dello Spirito. L’estremo gesto di Gesù, potremmo dire sia il più importante: la sua immolazione di vittima e sacerdote insieme, non tanto, né solo, compie la vita nell’obbedienza, ma lancia il futuro di salvezza nello Spirito per tutti gli uomini.

Tutto è adempimento di profezia, non solamente l’Alleanza con Dio – quanto l’antica nel sangue immolato –, fin la cronaca del (così falso) scrupolo di perbenismo religioso dei “Giudei” perché fossero tolti i cadaveri – a non contaminare la loro festa – avendone affrettato la morte con lo spezzar loro le gambe. Non al Signore Gesù perché fosse come agnello di Pasqua integro (Es 12,46); l’evangelista lo ricorda nei versetti subito seguenti i nostri. La già avvenuta morte – come volontaria donazione – di Gesù, sorprende i soldati giunti per il gesto falsamente pietoso dell’abbreviare sofferenza di morte col crudele intervento di spezzare loro le ginocchia: ma ecco il colpo di lancia – inutile gesto di odio –, così significativo non solo per Tommaso. E il fluire del sangue e dell’acqua, rimarcato dall’evangelista, perché, in ossequio alla profezia citata da Giovanni, volgessimo noi lo sguardo al trafitto, non solamente i soldati che vibrarono il colpo.

Acqua e sangue non registrano un fatto; sono – ben lo sappiamo – segni dei sacramenti, ma prima – questo dono a risposta di violenza d’odio – il sangue evoca il dono di sé per la vita, l’acqua richiama la forza della vita nello Spirito: proprio così il dono del Signore, nel battesimo, nell’eucaristia, nei sacramenti giunge perenne a noi. Il brano termina con quanto già dicevamo: la testimonianza di Giovanni tanto insistita; certo, non per metter sé in luce, né attestar solo nella storia, ma per la fede, la nostra fede, perché per noi fosse possibile quell’affidarci ad un Crocifisso che si è donato in immolazione per noi, lasciandoci suo segno perenne, anzi sua nuova presenza: lo Spirito.

 

Don Giovanni Milani