RELIGIONI, LA MEDITAZIONE
DI DON GIOVANNI MILANI.
2ª DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano del vangelo, non c’è dubbio, ci inviti alla fiducia da porre in Dio, fiducia ben confortata da segni che possiamo leggere nel suo agire con ciò che è di minor valore rispetto a noi: i corvi, immondi, ma cui provvede, i gigli del campo dalla veste più sontuosa della gloria di Salomone.

Certo che abbiam miglior valore de’ corvi – vorrei vedere! – e dei fiori, certamente di raffinata bellezza, ma quanto effimeri: presto alimento della fornace; noi siamo figli di Dio, del Padre, la sua grandezza ben provvede a noi (anche quella sua immagine nel padre del prodigo, subito si peritò di vestito, il più bello e del cibo di festa, il vitello grasso). Il parlare di Gesù – che segue l’immagine del ricco stolto – ci invita ad ordinare la nostra vita, a dare giusta misura ai nostri desideri, a toglierci così da ansie e timori fuori luogo (massime in noi figli!) proprio guardandoci attorno, osservando la bellezza offertaci dal Signore ne’ gigli o l’inutilità (almeno apparente) pur sempre conservata da Dio, dei corvi, tutti incapaci d’affannarsi, gli uni a tessere, gli altri a seminare e mietere.

Questo non dice sicuramente che dobbiamo essere spensierati rispetto al provvedere a cibo e vestito (che rimangono dal sudore della fronte) piuttosto – mentre ci fa allargare lo sguardo sul creato che ci attornia – ci dà certezza nella provvidenza e lo sguardo alto su miglior scopo della vita, sul senso cui, ancor lui, il Padreterno, ci chiama. Se misuriamo ciò che più vale e quanto conta meno, non stiamo ad incupirci in ansie e gramaglie di spirito: acquistiamo invece sguardo luminoso su quanto già è nostro, almeno ci è preparato: il regno.

Già nell’immagine precedente – del ricco stolto – Gesù ci ha messo in guardia dalla bramosia di quel che qui ci dice pagano: il cercare sicurezza nel possesso di beni, meglio: di cose materiali. È da pagani nutrire bramosie ed ansie per ciò che è materiale, pur anche necessario, ma chi è figlio, confida nella provvidenza di Dio che sa bene quanto gli necessita (dunque gli darà modo di averne) perché la sua fede lo fa certo che la paternità del Signore tutto questo darà in aggiunta alla sua ricerca del regno.

Penso che il senso del finale “dare in aggiunta” sia il retrogusto proprio della serenità che dona la tensione fiduciosa al regno. Questa fa leggere anche i beni materiali – di cui non possiamo fare a meno per la “nostra vita” e per “il nostro corpo” e ci saremo pure procurati con il lavoro – anche nella veste di opportunità, dunque di dono.

Nulla infatti è interamente nostro di quanto abbiamo tra mano, viene sempre dal creato, che il nostro impegno, forsanche la nostra sagacia, ha trasformato; visto così, acquista valore, tutto ci porta sempre al pensiero riconoscente e all’attesa del regno che dà senso pieno e fondamentale alla nostra esistenza di figli.

Anche le cose materiali se valutate bene, senza l’ansia “pagana”, ma con la misura del cristiano, del figlio, ci aiutano a leggere in profondità, al tendere grato al regno. Vorrei anche aggiungere – suggerita dalle immagini – riflessione sulla cura della bellezza che il creato ci dona; il goderne e più l’impegno di conservazione, ci fa anche un poco mettere in umile parallelo con l’azione generosa del creatore.


Don Giovanni Milani