“PER AMORE DELL’ACQUA”
UN DOCUFILM SULL’ORO BLU

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VALMADRERA – Che le guerre, la fame, i regimi dittatoriali e la mancanza di risorse fossero problemi che affliggono le parti più povere della terra e le persone che le abitano lo sapevamo; che i fattori di rischio per la salute della gente nei paesi industrializzati fossero in aumento e sempre più difficili da catalogare e quindi evitare era già noto; che l’acqua inquinata fosse la prima causa di morte per intere nazioni o che potesse far ammalare fino a sette milioni di persone all’anno negli Stati Uniti forse ci suona nuovo e ci scuote anche un po’.

A farci riflettere (e a scuoterci) su questo tema è stato un docufilm intitolato “Per amore dell’acqua” del 2008, presentato ieri sera alle 21.00 al centro culturale Fatebenefratelli di Valmadrera in collaborazione tra Les Cultures e l’associazione Dinamo Culturale, nell’ambito del festival “Immagimondo” che quest’anno tra i suoi focus ha proprio quello dell’acqua.

Un problema che coinvolge nord e sud del mondo dicevamo, paesi poveri e quelli ricchi, che ha dei retroscena politici ed economici inimmaginabili dai non addetti ai lavori. Cominciamo a fare il quadro della situazione più grave, quella dei paesi con meno risorse economiche e/o naturali: i paesi dell’Africa, del Sud America e l’India. Qui moltissime persone non hanno a disposizione una rete idrica che distribuisca l’acqua potabile, utilizzano per bere, cucinare, lavarsi e coltivare l’acqua di fiumi, torrenti e canali, che spesso contiene batteri dai quali si possono contrarre malattie come il colera che in certi paesi giungono a mietere più vittime dell’AIDS.
Il modo in cui si è deciso di affrontare questo problema è stato quello di privatizzare il servizio idrico: alcune nazioni hanno intrapreso questa strada in maniera più o meno libera; ma la maggior parte dei paesi di cui stiamo parlando è indebitata fino al collo con organismi economici internazionali come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale, a cui essi devono la quasi totalità della proprio disponibilità di denaro.

per amore dell'acqua

E proprio queste agenzie hanno a tutti gli effetti imposto in Argentina, in Bolivia e in moltissimi stati dell’India e dell’Africa la liberalizzazione dell’acqua e l’affidamento della gestione degli impianti e dei servizi idrici a multinazionali del settore, in particolare tre: la “Suez”, la “Vivendi Environmnent” e la “Agua del Illimani”. Inutile dire che i membri dei CDA di queste società siedono anche ai tavoli del FMI, della BM e del Consiglio Mondiale dell’Acqua, con un evidente conflitto di interessi che pone un decisivo tema politico: è lecito che organismi sovranazionali non eletti dai cittadini, abbiamo il potere di imporre decisioni che si ripercuotono violentemente sulla vita dei cittadini, senza che gli stati sovrano abbiano troppo margine di intervento?

Perché è proprio della vita delle persone che si discute: innanzitutto per costruire gli impianti idrici e le dighe queste grosse multinazionali obbligano intere comunità a trasferirsi, abbandonando in certi casi aree fertili per spostarsi in zone dove l’agricoltura e l’allevamento, su cui basano la propria sussistenza le tribù africane intervistate nel documentario, sono rese impossibili dalle condizioni climatiche. In altri casi i lavori causano dei danni all’ecosistema locale, col risultato che le fonti d’acqua in precedenza disponibili sono ridotte a paludi inservibili dalla popolazione. La costante rimane che il servizio erogato dalle compagnie private è del tutto inaccessibile alla maggior parte delle persone per i costi elevati: quando si vive con meno di un dollaro al giorno, non si può comprare il gettone giornaliero da due dollari necessario per servirsi alla pompa.

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Il vero paradosso tuttavia emerge quando si scopre che secondo diversi studi sarebbero sufficienti 30 milioni di dollari all’anno per garantire acqua pulita a tutti. Sembra una grossa cifra ma è solo un terzo di quello che in 365 giorni si spende per l’acquisto di acqua in bottiglia.

Già, perché i paesi più ricchi, i quali ancora non sono entrati nell’ordine di pensiero che anche l’acqua è un bene limitato che va via via esaurendosi, pensano di tutelare la propria salute acquistando e consumando acqua in bottiglia.
Eppure l’acqua venduta negli Stati Uniti contiene atrazina, un componente chimico usato dei diserbanti che nella maggior parte dei paesi europei è illegale. Diversi studi hanno dimostrato che questo elemento provoca un cambiamento di sesso nelle rane e una oligospermia nei pesci, anche a basse concentrazioni. Per non parlare di tutti i componenti chimici, organici e batteriologici che sono presenti nelle bottiglie di plastica e nel ciclo acquifero in generale, i quali sono responsabili di malattie spesso confuse con forme virali gastro-intestinali che in alcuni casi possono portare alla morte, anche nei paesi più economicamente avanzati.

E la salute delle persone non è messa a rischio soltanto dall’acqua in sé, bensì anche da tutto il processo di estrazione e confezionamento. Basti pensare a quello che è successo nel Michigan, quando la Nestlé (società che possiede decine di marchi di acqua in bottiglie) vi ha trasferito uno dei suoi impianti e ha cominciato a pompare, trattare e imbottigliare decine di centinaia di litri di acqua al giorno. Senza pagare nulla per essa, ma anzi usufruendo di gravi fiscali da parte dello stato, con un giro di affari di 1.800.000 milioni di dollari al giorno. I torrenti attorno si sono prosciugati, i cittadini potevano rimanere senza acqua corrente in casa e i terreni cedevano. Le persone si sono così organizzate, hanno creato un movimento e sono ricorsi alle vie legali, riuscendo a imporre al colosso un divieto di pompare acqua nel Michigan stabilito da un giudice. Anche nello stati del Plachimada in India sono sorti gli stessi problemi con la società della Coca Cola, tuttavia quando c’è di mezzo la Banca Mondiale tutto è più difficile, poiché essa gode dell’immunità giudiziaria.

Un grosso e in parte inaspettato problema quello dell’acqua dunque, che di certo non può esaurirsi e tanto meno risolversi con una proiezione di 90 minuti, che sono però sufficienti per cominciare a porsi una questione: può un bene indispensabile alla sopravvivenza, che è offerto a tutti gli uomini dal cielo, dai fiumi, dalle montagne e dagli oceani, diventare di qualcuno che può vincolare il suo utilizzo al pagamento di un prezzo per avere un profitto (e che profitto)?

 

Manuela Valsecchi