La pagina proposta in questa quarta domenica (troppo ricca per un commento puntuale) scorre in continuità con quella letta domenica passata; certo più nota per la singolare figura del cieco sanato.
È uno dei “segni” più significativi, luminosi, che ci propone Giovanni, tanto più allusivo perché dona vista (la cecità, privando della lettura della Torah, era considerata maledizione che arrivava ad impedire l’accesso al tempio).
Il significato vero del brano sta nell’”illuminazione” che Gesù dona, non solo a cieco, ma nella fede (in antico era questa stessa parola a indicare il battesimo).
Lo sguardo di Gesù è ben più profondo della curiosità dei discepoli, dichiara, con linguaggio di significato profetico (giorno/notte), il senso del proprio mandato: “Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo” e profeticamente lo pone quel segno.
Il gesto – mentre per il lettore riveste senso battesimale – ha tutti i richiami alla creazione (pur se urti la sensibilità attuale l’impasto di sputo, di saliva in antico terapeutica): c’è lì il soffio divino, l’impasto dell’adamah d’origine. Così ci è dichiarato il battesimo come nuova creazione: il Signore Gesù compie l’azione divina di creare a nuovo.
Manipolando il fango creatore per dare luce agli occhi del cieco e inviandolo all’acqua, Gesù evoca con forza, nel battezzato, la creatura nuova. I simboli qui si moltiplicano: li scorgiamo nella “piscina di Siloe, che significa inviato”: l’inviato dal Padre è Gesù, lo stesso termine piscina (τὴν κολυμβήθραν) è proprio quello che indicava la vasca battesimale.
Poi il cieco rivela un cammino di libertà e di fede che cresce man mano ed è sprone anche per noi: continuamente è stimolato a dar conto di quell’incontro con Gesù che l’ha sanato: il Signore, da “l’uomo che si chiama Gesù”, diviene nel progressivo chiarificarsi in testimonianza “un profeta!”. Addirittura la certezza e libertà interiore diviene sfida ai capi pur sapendo di essere escluso dalla comunità religiosa (che si identificava con quella civile); ancora libero – e solo – reincontrando Gesù, con una libertà di spirito impensata in un uomo per tutta la vita mendicante, aderisce a Gesù “Figlio dell’Uomo”.
L’espressione: credere nel Figlio dell’Uomo è singolare, significa credere, aderire al giudice supremo (come è precisato nei versetti immediatamente successivi); il cieco con lucida decisione crede nel “Figlio dell’Uomo”.
La vicenda storica del cieco nato è per noi parabola di luce.
Il vedere vero non è propriamente quello della luce terrena, piuttosto quello della fede nel Signore Gesù. La sua sequela ha radice storica e di grazia nel battesimo ma necessita di una adesione che è cammino e progresso come ci fa invito l’esemplare immagine del mendicante guarito.
Don Giovanni Milani