DON GIOVANNI MEDITA NELLA DOMENICA DELLE PALME

Questa domenica conosce due liturgie: quella, che in continuità con la celebrazione della scorsa settimana, ci porta a Betania nella casa di Lazzaro e delle sorelle dove si vorrebbe, con una cena di gratitudine festosa, rendere grazie al Signore Gesù per il ritorno alla vita di Lazzaro; poi l’altra che ci mostra Gesù re di pace, nel festoso e mite cavalcare l’asinello. 

È Maria a Betania ad esprimere tutto il suo affetto con quel dono d’unguento prezioso, chissà quanto serbato, ma copiosamente versato sui piedi del Signore asciugati con i propri capelli. 

Non è solo un gesto d’affetto quanto ci vuole riportare Giovanni: significativamente lo trasforma in simbolo che racchiude l’amore e la poesia del cantico “tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo”, ma legge pure, nei piedi, fragilità caduca. Gesù vuol tutto riprendere in profezia di morte, ma anche anticipa l’estremo insegnamento del gesto alla cena, monito di umiltà e stile di reciproco rapporto fraterno. 

Subito l’osservazione torva di Giuda “che stava per tradirlo” fa considerazione venale dei trecento denari (richiamo ai miseri trenta, prezzo di schiavo, per Gesù), che Giovanni indica in intenzione di furto mascherata d’attenzione per i poveri. 

Nella cena, il gesto di Maria vorrebbe arricchirne la gratitudine; nella comunicazione evangelica, che ne fa centro della narrazione, lo rende il segno più significativo della cena, infatti le considerazioni che lo accompagnano ne fanno presagio di lutto, che lo stesso evangelista calca con il narrare dell’accorrere dei Giudei nella loro curiosità “non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti”, si che s’accenda cupa intenzione di morte anche su Lazzaro. 

Questa introduzione alla Settimana Santa ci fa pensosi del mistero di vita e salvezza che il Signore Gesù reca a tutti noi attraverso il passaggio doloroso del calvario per il dono della vita piena, la sua vita di grazia. 

Della benedizione delle palme. Zc9,9-10 Ecco il tuo re, umile cavalca un asino. Col1,15-20 Cristo è il principio, il Capo della Chiesa, il primogenito di quelli che risorgono dai morti. Gv12,12-16 L’ingresso di Gesù in Gerusalemme. 

Dà significativo nome alla domenica odierna, la mite cavalcata di Gesù sull’asinello, che Giovanni indica quasi come improvvisata, ma dai sinottici sappiamo voluta e preparata dal Signore Gesù quale ben significativo richiamo alla propria regalità, come, anche nella nostra narrazione, è della pronta intuizione della “grande folla che era venuta per la festa” che “prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!». 

Solo il quarto vangelo, sempre attento alla ricchezza dei simboli, nota i rami di palma che, oltre che segno di festa e pace, sono anche simbolo regale. 

Gesù per significare lo specifico della propria regalità fa uso di un asinello, segno insolito per indicarne grandezza regale: era piuttosto richiamo al profeta, già l’antico Balaam di numeri, come anche Samuele, ne fecero uso. Il Signore lo sceglie a dire del proprio potere regale non come di gloria ed eccellenza mondana da mostrare alla gran folla, a significare invece la tipica larghezza di questo re di pace, nella mitezza e misericordia, come da sempre è stato il felice annuncio evangelico della sua predicazione. 

In antico, questa domenica era detta Domenica di Passione: è ancora il senso della meditazione che la Chiesa ci fa percorrere; in modo meno velato nella celebrazione della mite cavalcata che ci fa riflettere, pensando alla croce come al trono regale d’amore del Signore Gesù. 

Betania, nelle velate allusioni del Signore Gesù al gesto affettuoso di Maria, pure ci rimanda al mistero di Gesù, sacrificio di morte per il trionfo pasquale che lo riscatta da morte e dona vita, vita eterna al mondo intero. 

 

Don Giovanni Milani