DON GIOVANNI MEDITA NELLA DOMENICA DI LAZZARO

La domenica di Lazzaro ci invita a riflettere non solo su come la grandezza del Signore Gesù possa vincere anche la morte, quella fisica dell’amico Lazzaro, ma sia pure segno e promessa della vittoria definitiva sulla morte – sia fisica che del profondo: del peccato – che il sacrificio di croce opera per la risurrezione non solo di Gesù, ma abbraccia la realtà tutta in una vita nuova, appunto risorta nell’amore del Signore. 

I fatti e l’agire del Signore sono letti da san Giovanni in simbolo così già la “malattia (di Lazzaro) non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio” infatti Gesù dichiara a Marta di essere “la risurrezione e la vita”. 

Per Gesù persino la morte – lo sarà luminosamente la sua di croce – dà spazio alla manifestazione della gloria di Dio. Ricordiamo che nel IV vangelo la gloria è il trionfo dell’amore: nell’episodio, qui narrato vediamo l’affetto d’amicizia, simbolo dell’amore universale della croce che riscatta dalla morte “eterna”. 

Il “segno” (è il settimo e più solenne) è dichiarazione di vita, primo dono e realtà propria di Dio che si manifesta dalla creazione e si moltiplica in ogni dono d’amore che la grandezza divina riversa sull’umanità. 

Gesù è vita che richiama dalla morte fisica e ben accertata: nella tradizione viva attorno al Signore, i tre giorni dopo il decesso segnavano ancora una certa presenza dell’estinto, non il quarto giorno che era ormai di consunzione (“Signore, manda già cattivo odore, è lì da quattro giorni!” esclama Marta la sorella del morto). Ma il Signore mostra il segno, non tanto della sua potenza, quanto dell’amore che vince la morte per donare e ridonare vita. 

Notiamo come in questo momento tanto carico di attesa – ed anche di fremiti cui non è estraneo neppure lui, il Signore Gesù – che già ha levato comando di togliere la greve chiusura tombale di pietra; si fermi a fare rendimento di grazie al Padre, rara pubblica preghiera a rimarcare quel gesto di richiamo alla vita, segno per la fede degli astanti e nostra: l’azione è solenne, vince la morte e tuona: “Lazaro vieni fuori”. 

Benché Gesù abbia richiamato, dunque da morte con segno tanto forte, pure il cuore torvo di Caifa, lancia – ahimè, sventuratamente, da sommo sacerdote quell’anno – reale profezia: che il Signore Gesù debba morire per la nazione intera, l’evangelista corregge: “non soltanto per la nazione, ma anche riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. 

La vicenda di Lazzaro e del suo essere richiamato alla vita fisica è grande segno che ci parla, in promessa profetica, di Gesù: immolato “non soltanto per la nazione” e richiamato a vita, vita piena non semplicemente fisica, materiale, ma di vittoria piena sulla morte, su ogni male dominato dall’amore che dona vita di grazia.

 

Don Giovanni Milani