DON GIOVANNI MEDITA NELLA SECONDA DOMENICA DI PASQUA

Il brano che ci è proposto in questa seconda domenica di Pasqua ha singolare richiamo al nostro ritmo temporale: abbraccia infatti la sera della Pasqua e quell’ottavo giorno successivo che stiamo proprio ora percorrendo. 

“I discepoli per timore dei Giudei” stavano ben rinchiusi, ma il Signore risorto si presenta loro con i segni della passione, ormai gloriosi segni d’amore, portando la pace come missione da diffondere, ripetendone – badiamo – non il saluto (pure allora abituale in quella forma: pace!) ma l’invito e il dono conseguente la sua vittoria sul male e la morte nel risorgere a vita nuova. 

La risurrezione è creazione nuova, infatti “soffiò su di loro”, è il gesto della creazione che comunica lo Spirito che vince nell’amore il male nelle sue profondità: il peccato nel cuore dell’uomo. Dona così ai discepoli, cioè alla Chiesa, la capacità – conseguente la risurrezione che è vittoria sulla morte, sul disfacimento del peccato – il poter cancellarne, nel perdono, la rovina. 

Qui dobbiamo bene intendere come la remissione dei peccati data ai discepoli (sottolineo: alla Chiesa) non è un potere giuridico, ma un dono, un carisma (infatti la condizione è nello Spirito santo). 

C’è poi la figura di Tommaso, spesso immagine nostra, quando pretenderemmo la fede come constatazione di fatti certi più che affidamento alla Parola. 

Questo discepolo appassionato (ricordiamo quell’“andiamo a morire con lui”) ha uno struggente bisogno dell’incontro col risorto che desidererebbe a modo proprio di constatazione immediata, sensibile, carnale. 

Il Signore gliel’accorda quell’incontro, ma nella evidenza mistica delle piaghe, dell’immolazione sulla croce, sacrificio di riscatto dal male, offerto al Padre. Allora, in quell’incontro più vero e profondo di quello che avrebbe desiderato fisico e materiale, Tommaso si avvede dell’errore protervo dell’attesa dichiarata agli altri discepoli ed esplode con quel mirabile riconoscimento di ammirazione: “Mio Signore e mio Dio!”, dove esprime la propria fede con i due modi di accostarsi della tradizione ebraica all’impronunciabile nome di Dio. 

Gesù non gli fa rimprovero, piuttosto dona beatitudine e conforto a noi che non abbiamo pretesa di mettere il dito, la mano alle piaghe, pure abbiamo dono, forsanche interiormente combattuto, della fede. 

I segni offerti a noi oggi ci vengono dal Vangelo, dall’eucaristia e dalla Comunità cristiana; sono queste – non la constatazione di segni, le piaghe materiali – le testimonianze dell’amore del Signore Gesù risorto a vita perenne per noi. 

 

Don Giovanni Milani