DON GIOVANNI MEDITA NELLA SESTA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

La narrazione che ci è proposta in questa domenica: la guarigione di questi dieci lebbrosi, non è comune ad altri evangelisti, appartiene infatti alla cosiddetta sezione lucana, cioè all’ampio tratto del terzo vangelo che gli è esclusivo. 

È il racconto di un miracolo tra i tanti operati dal Signore Gesù, ma ci invita a riflessione forse più accurata infatti va oltre l’atto di potenza a guarigione. 

Sappiamo bene che Luca ci narra tutta la vita pubblica come un grande viaggio verso Gerusalemme; anche qui, all’entrare in un villaggio, nell’incontro con i lebbrosi che, secondo la legge si fermano e invocano a distanza, ci è rimarcato quell’itinerario, con insistenza simbolica sulla missione del Signore. 

Subito all’invocazione di quegli infelici Gesù risponde in modo sorprendente: li invia direttamente ai sacerdoti prima di qualsiasi gesto – altra volta aveva toccato e sanato – qui invece, non entra in contatto, fa invito solo di parola, ed essi si incamminano nonostante non siano guariti: la guarigione avviene solamente durante il loro itinerario verso i sacerdoti. 

Certamente esprimono, tutti quanti, fede decisa nella parola di Gesù di cui evidentemente conoscevano il dono taumaturgico: hanno avuto fede e hanno ottenuto l’invocata grazia di guarigione. 

Ma è evidente che Luca ci voglia insegnare molto di più con la vicenda aggiunta d’uno di loro che era un samaritano. È lui che “tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo”. 

Gesù rimarca la distanza tra i nove che hanno eseguito il suo invito, ma non hanno saputo “rendere gloria a Dio” e quest’ultimo “straniero”. A lui si rivolge con quell’”Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato!” 

Il Signore Gesù non vuole certo insegnare comportamenti corretti di buone relazioni di garbo e creanza, ci vuol porre riflessione ben più profonda che forse ci giunge più chiaramente da quell’invocazione di san Paolo nell’inno alla carità: “se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla”. 

Tutti e dieci hanno avuto pronta fede nella parola di Gesù, tanto da incamminarsi ai sacerdoti prima di constatare la guarigione, pur necessaria per la certificazione che i sacerdoti avrebbero dovuto costatare, ma ottenuto il dono, hanno attinto a quanto volevano non invece a quanto più propriamente offre il Signore: la salvezza, il senso profondo della vita in lui. 

Non è in un corpo sano l’intero senso dell’umano, a volte troviamo pienezza di vita interiore proprio in chi è malato. Il senso vero della fede non è solamente nell’ottenere grazia, piuttosto trovare nel Signore il vero senso della vita.

 

Don Giovanni Milani