DON GIOVANNI MEDITA NELLA SECONDA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Il brano che ci è consegnato in questa domenica ci porta nella polemica nata dalla guarigione del paralitico alla piscina probatica, Gesù l’ha operata di sabato ed ha provocato il livore dei “Giudei che cercavano ancor più di ucciderlo perché, non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”. 

In quella tensione già si era trattato delle testimonianze a favore del Signore Gesù; s’era parlato di quella, pur umana, di Giovanni; ancora quella del Padre stesso, prima esteriore di opere, ma poi qui propriamente della parola del Padre che l’ha inviato. 

Gesù contesta agli oppositori che non abbiano mai ascoltato la voce del Padre né mai visto il suo volto tanto che la sua parola non rimanga in loro. È infatti l’ascolto della parola che svela la persona: i Giudei, non hanno conosciuto “il volto”, la verità di Dio, perché non ne hanno veramente ascoltato la Parola. 

In questa tensione tra Gesù e i Giudei, non si tratta solamente dell’interpretazione dei testi scritturistici, ma di comprendere profondamente le Scritture nel loro senso vero per intendere più propriamente il rapporto con Dio, è in gioco la sostanza vera della religione, del rapporto con Dio. 

Gli oppositori del Signore hanno un’immagine di Dio che credono di ricavare dalla Legge. Per loro Dio dà la Legge che non sanno intendere che come insieme di precetti e divieti così da fare di Dio il giudice e dell’uomo lo schiavo della Legge. 

Per il Signore Gesù, Dio è Padre, il padre non pone divieti, ma dona la vita; il rapporto con lui, non è se non quello figliale che si fonda nell’amore; la Legge, non deve essere intesa nelle norme (oppressive), piuttosto a tracciare il vero senso dell’amare. 

Afferma Gesù: “vi conosco; non avete in voi l’amore di Dio”. È l’amore di Dio che dona senso alle Scritture e svela il volto, il rapporto vero con Dio. Gli oppositori di Gesù non credono, ma vogliono solo ricevere onore, la gloria gli uni dagli altri, così credono di potere riporre la loro speranza in Mosè (cioè nella Legge) ma non ne colgono il significato profondo rimanendo all’esteriorità dei precetti come adempimenti, non come traccia di vita e invito all’amore. 

La loro speranza non si affida alla fede: “non credono” in Mosè, che se lo facessero, crederebbero anche in Gesù perché Mosè proprio di lui ha scritto. 

Questa pagina di vangelo è da considerare con attenzione perché possa sollecitare anche noi ad una fede vera, non fatta dunque di precetti ed adempimenti (- Vado a Messa e sono a posto con Dio!). Intendere così sarebbe la religione della Legge, non quella annunciata da Gesù che ci fa incontrare nell’amore la vera immagine di Dio, quella del Padre che ama i suoi figli.

 

Don Giovanni Milani