DON GIOVANNI MILANI MEDITA
NELLA 6ª DOMENICA DOPO
IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI

Il brano del vangelo di Luca che è offerto alla nostra riflessione d’adesso, non è di immediata e facile interpretazione, proprio e soprattutto per il suo genere letterario, come son soliti dire gli esperti: per il tipo di linguaggio, diciamo noi, che il Signore Gesù sta usando: quello severo e teso che risente e continua le iperboli dei detti precedenti, specie quello sulla fede che come, granello di senape, farebbe piantar in mare gelsi. Come sempre, dal passo evangelico abbiamo da togliere insegnamento, non certo dallo sconcerto del paragone: Gesù prende dal vivo dell’abituale rapporto – naturalmente ad iniziare dalla società in cui vive – tra padroni e servi (in vero il termine è propriamente “schiavo”: senza diritti). È certo che qui Gesù, che conosciamo, anche per la sua stessa dichiarazione “mite ed umile di cuore”, non stia dandoci insegnamento, tanto meno prescrizione circa il rapporto schiavo-padrone (quando lo farà entrare in parabola sarà davvero altro, vedi Lc 12,35-40); qui il Signore rileva semplicemente il modo comune di agire che gli serve per ben altro scopo. Dobbiamo intendere, molto chiaramente, dello stesso tenore anche quanto segue e, in questo linguaggio asciutto, indica il rapporto con Dio che, oggettivamente, marca distanze ovviamente abissali da noi, benché qui l’oggetto non sia propriamente questo, vuole invece farci riflettere per comporre l’animo in modo giusto e vero, senza volerci offrire qui tutto quanto l’insegnamento di Gesù sul rapporto con Dio.

Molti cercano di interpretare quella parola “Δοῦλοι ἀχρεῖοι servi inutili” trovando significati particolari appunto a quell’inutili nel senso di vile, umile e cose del genere, ma non mi pare questo il pensiero di Gesù. Il Signore vuole qui insegnarci un atteggiamento di profonda umiltà che aiuta bene il nostro rapporto con il Padreterno, il quale rimane sempre tale, proprio come insegna lui, Gesù: Padre che abbraccia nel suo amore tutti noi suoi figli. Gesù parla a noi, e a noi insegna: il nostro rapporto oggettivo, se guardiamo con attenzione rende più facile – considerando la nostra distanza da Lui, la nostra piccolezza e la sua grandezza benevola e paterna – il flusso d’amore, il rapporto di bene che intercorre tra chi è oggettivamente schiavo (distantissimo per natura) ma è fatto figlio nel Figlio ed abbracciato dall’amore del Padre. Se dall’insegnamento del Signore impariamo a fuggire la vanagloria per le opere buone compiute – anche rendendoci conto come sian sempre guidate dalla grazia – credo ci siamo avvicinati a quanto vuole insegnarci Gesù e possiamo ancor meglio gustare l’amore di Dio che sa ben scavalcare la nostra piccolezza ed anzi innalzarla gratuitamente a sé.

 

Don Giovanni Milani