Sono proprio pochi versetti quelli che ci sono proposti in questa domenica, ma sono tanto densi di richiami.
Dopo i “guai” rivolti a Corazin e Betsaida, le città in cui è stato più presente nell’opera evangelizzatrice, Gesù rende grazie al Padre per avere deciso la rivelazione non ai sapienti ma ai piccoli, poi esclamando proclama il suo legame al Padre: “Nessuno conosce Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”.
La logica dell’intesa (la “conoscenza” che è esperienza vitale) tra Gesù ed il Padre non è quella mondana ed è rivelata non “ai sapienti e ai dotti” ma “ai piccoli”, così ha deciso la “benevolenza” del Padre.
Di qui parte l’invito, proprio ai piccoli: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed oppressi, e io vi darò ristoro”.
Possiamo dire che quest’invito: “Venite a me”, sia caratteristico di Gesù; oltre al presente, già l’aveva rivolto: “Venite dietro a me” (4,19) ai primi discepoli là sulla barca al mare di Galilea; ancora risuonerà per le nozze della parabola (22,4) per ampliarsi in quello definitivo dell’estremo il grande “Venite Benedetti”.
Gesù qui si esprime con l’espressione del “giogo” che era abituale ai rabbini per significare lo studio della Legge ed in vero richiama un passo del libro del Siracide dove l’invito era della Sapienza (Sir 51,23-30), quasi ne fa un calco per le sue parole, paragona dunque sé stesso alla Sapienza che già era da principio presso Dio collaborando alla creazione.
Dichiara però il passaggio dalla Legge al Vangelo, dal giogo del dovere, dell’obbligo che detta l’agire, all’amore che è gioia, vita piena emancipata in libertà, per “trovare ristoro per la vita” non con le minuzie minacciose d’errore e condanna della legge, ma con il “giogo” di Gesù che “è dolce”, ha “peso leggero” perché porta, non l’ossequio oneroso ai precetti, ma la libertà dell’amore.
La promessa di Gesù è per tutti gli “stanchi ed oppressi” per tutti noi: ci dona il “ristoro”, meglio il riposo (ἀναπαύσω ὑμᾶς vi riposerò, dice il testo originale); è richiamo, non tanto a pausa corroborante, ma al sabato, tempo e luogo d’incontro con Dio, quello già dichiarato nella creazione, per noi “stanchi ed oppressi” l’incontro vero e definitivo, oltre il tempo, con il Signore.
Il “Venite” di Gesù interpella tutti noi, ci chiama a seguirlo, si mette lui stesso a modello – è da notare – di piccolezza, di debolezza nella mitezza e semplicità di cuore, di giudizio; segna così il passaggio da una religiosità d’obbedienza a quella mossa dall’amore.
Don Giovanni Milani