DON GIOVANNI MILANI,
MEDITAZIONE NELLA QUARTA
DOMENICA DI PASQUA

“Io sono il buon pastore” è l’affermazione di Gesù che inizia il brano che ci è posto a meditazione. L’”io sono” dobbiamo prenderlo come espressione forte, rassicurante promessa del Signore, espressa come cura dei suoi non solo nella battuta storica; i termini esprimono qui vibrazione messianica, infatti lui è pastore “buono”; il testo lo rende con “ὁ καλός”, letteralmente bello: è evidente un valore non puramente estetico, piuttosto – quanto il vino di Cana e le opere compiute dal Signore dove è usata l’identica espressione – c’è rimando allusivo a profezia. Il Signore Gesù, ὁ καλός, è veramente degno del titolo di pastore: il termine mette in rilievo non la bontà come condiscendenza o dolcezza, invece l’agire del pastore per la salvezza, infatti “dà la vita per le pecore”. Il parlare ai farisei di Gesù, non si riferisce alla condizione storica, si innalza a senso ben più alto: afferma conoscere le sue pecore come le pecore conoscono lui, “così come il Padre conosce me e io conosco il Padre”: la conoscenza non è notizia, ma legame profondo e vitale tale che il Signore aggiunga: “e do la mia vita per le pecore”. Questo discorso sul buon pastore che dà la vita per le pecore ha un evidente rapporto con la sua morte e resurrezione, sino ad aprirsi oltre il solo gruppo dei discepoli, le sue pecore sono anche “altre che non provengono da questo recinto”.

C’è qui un riferimento evidente all’universalità della salvezza quando le “altre pecore” (riferimento manifesto ai gentili, non appartenenti al giudaismo) “Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, (con) un solo pastore” (palesemente lo stesso Signore Gesù). Poi qui il discorso abbandona l’immagine pastorale per approfondire il rapporto di Gesù con il Padre: il Padre ama Gesù “perché – afferma – io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo”; limpido qui il riferirsi al sacrificio della propria morte e resurrezione. Il Signore asserisce la libertà di dare la propria vita (“Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo”) e insieme afferma l’obbedienza al disegno, “comando”, del Padre (“Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”). La libera obbedienza che nasce dall’amore al Padre e raggiunge l’umanità intera mostra come la croce e resurrezione siano la più grande manifestazione dell’amore di Dio per gli uomini. L’immagine del pastore si supera per esprimere il mistero dell’amore di Dio nella salvezza offerta nel Signore Gesù. 

 

Don Giovanni Milani