“HO TENUTO LE DITA INCROCIATE
PERCHÉ SERVE PURE FORTUNA”.
IL RACCONTO DEL MEDICO

LECCO – Non è nuovo all’affidare ai social network i suoi pensieri, soprattutto in questi mesi che l’emergenza sanitaria lo ha travolto professionalmente e umanamente. Paolo Maniglia, medico dell’ospedale di Lecco, aveva visto partire verso la Germania i suoi pazienti perché lì c’erano terapie intensive disponibili; ora stanno ritornando in città. Non tutti purtroppo, una vittima c’è stata.

E ora che al ‘Manzoni’ resta un solo paziente in terapia intensiva è arrivato per Maniglia il momento di chiudere il cerchio. Così intitola il suo pensiero diffuso nell’etere. Eccolo:

Quando il cerchio si chiude.
Il Signor T. è morto. Oltre alle complicanze renali si sono aggiunte complicanze al fegato e sovrainfezioni varie. I suoi reni si stavano già bloccando e noi non avevamo macchine per dializzarlo in continuo. Erano tutte occupate.
La signora R. è rientrata già da un po’. Stà facendo riabilitazione. Ha avuto qualche complicanza cerebrale ma sembra stia recuperando.
Settimana scorsa sono andato a recuperare il Signor G., sempre a Colonia. Era un po’ confuso ma rivederlo è stato bello. Abbiamo parlato di bancali di pesi e di trasporti durante il viaggio. Io non ne capisco ma lui mi spiegava. Un po’ a modo suo. E i conti tornavano. Ora ne so di più.
Oggi rientra dalla Germania la Signora G. sta bene, è ancora un po’ affaticata ma sta bene. Questo è quello che conta.
È una paziente dell’ambulatorio della terapia del dolore. La conoscevo da tempo. Cefalea cronica. Ho voglia di rivederla.
Anche il Signor C. che era volato e Terni è rientrato. Lui mi sembra si sia fatto il viaggio di ritorno in elicottero.

Devo ammettere che ho tenuto le dita incrociate per tutto questo tempo.
Non per questioni di sfiducia nell’operato dei colleghi che li hanno ricevuti. Anzi avranno la mia gratitudine per l’eternità. Con molti di loro ci siamo sentiti in questo periodo. Periodicamente scrivevo o telefonavo per sapere le condizioni cliniche.

Ho incrociato le dita perché a volte non basta né la scienza né il massimo impegno che si può dare. Spesso serve anche un pizzico di fortuna. Soprattutto quando devi affrontare un nemico che non conosci. Così subdolo da presentarsi sotto forma di polmonite e mutare in poco tempo in una patologia multiorgano.

Ho incrociato le dita perché se fossero morti tutti…
la possibilità c’era…
ma non è andata così.
Ora nel nostro ospedale rimane un solo Paziente in terapia intensiva, il Signor P. Incrocio le dita anche per lui.
E qui il cerchio si chiude.

Per il resto stiamo cercando di ripartire. Di riprendere la nostra “routine”.
Ma è faticoso. Siamo tutti stanchi.
Ancora di ferie non ne abbiamo fatte.
E ancora la situazione è incerta.
Tanti di noi sono ancora “attivati”. Non riescono a uscirne. Tanti vorrebbero andare avanti. Ma ogni volta che entri in ospedale c’è sempre qualcuno o qualcosa che ti ricorda quei giorni. È come un vortice che ti risucchia e ti sbatte di nuovo in mezzo alla polvere. Ti manca il fiato per qualche secondo. Ti concentri, fai un respirone e ritorni coi piedi per terra. E riprendi a fare quello che devi sapendo che questa è la tua nuova normalità.

Non so cosa succederà nel futuro e non voglio saperlo.
Per ora ho voglia di ripartire.
Ho abbandonato i miei pazienti della terapia del dolore a se stessi. Non avevo né tempo né energie per loro.
Lo hanno capito e hanno aspettato. Ma non hanno smesso di soffrire.
Semplicemente sono stati a casa buoni buoni. Con i loro dolori.
Ora mi cercano. Hanno bisogno di me. E io di loro. Dobbiamo ricostruire tutto. Da zero.
Perché se prima è passato lo Tsunami ora rimangono le macerie. Bisogna rimboccarsi le maniche.

Qui ospedale di Lecco.
Non lasciamo indietro nessuno.

Paolo Maniglia