RELIGIONI: DON GIOVANNI MEDITA NELLA SESTA DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il vangelo di oggi ci porta agli ultimi momenti del sacrificio redentore di Nostro Signore Gesù sulla croce. 

La narrazione è di Giovanni, l’evangelista che si scosta dalla tradizione sinottica per approfondire meglio e meditare sulla figura ed il messaggio del Signore. La nostra lettura si deve fare dunque attenta, soprattutto al suo messaggio segnatamente simbolico, che nei particolari della narrazione non ha certamente interesse a svolgersi in relazione di cronaca, si fa invece comunicazione del mistero nell’immolazione, nel dono al Padre e a noi, del Signore Gesù. 

Nelle prime parole del nostro ritaglio, si richiama il salmo 69 e l’aceto (probabilmente la posca romana) dato a bere, ultimo gesto di vilipendio al condannato, significativo, per il racconto dell’evangelista, della completa consumazione del sacrifico secondo la Scrittura: solo allora “tutto è compiuto” come mormora Gesù stesso. Solo allora “chinato il capo, consegnò lo spirito”. 

L’espressione che il meditativo evangelista usa per indicare la morte, sottolinea ancora il senso di offerta di quella volontaria immolazione del Signore e il suo dono dello Spirito al Padre e a noi. 

La notazione temporale, dell’imminenza pasquale è sottolineatura attenta al significato di compimento appunto pasquale, non tanto – è ovvio – di commemorazione dell’antica ricorrenza ebraica, ma di una Pasqua nuova e definitiva, quella del nuovo e vero Agnello al quale nessun osso deve essere spezzato perché il suo sacrificio abbia senso pieno e puro di offerta all’Altissimo. 

Così si devono compiere le cose: la richiesta che i cadaveri – impedimento impuro – non abbiano a rattristare appesi alle croci una delle grandi festa annuali, impongono il crurifragium: lo spezzar delle gambe agli appesi per affrettarne la morte, ma Gesù già ha “consegnato lo Spirito”, ecco allora l’inutile, se non a mostrare rozzezza di disprezzo e vilipendio del santo cadavere che al colpo di lancia al fianco, al cuore, gocciola “sangue e acqua”. 

Si impone la lettura simbolica di quello sgorgare dal cuore – estremo dono del sacrificio – del sangue (il segno della vita che pur fluisce da questa morte) a dirci del lascito di sé che è l’eucaristia e del siero che ci indica l’acqua purificatrice del battesimo: non significa più il solo cambiamento di vita, come era nella tradizione antica praticata sino a Giovanni, ma della vita nuova, nella creazione nuova che origina da questo sacrificio estremo che è morte per la vita, vita nuova divina: mostrerà la sua pienezza di lì a tre giorni ed è donata a chi, nelle acque battesimali si immerge in quella stessa morte per la resurrezione.

 

Don Giovanni Milani