Ho sempre considerato il calcio come uno sport bello da praticare più che da vedere.
Non praticandolo più da tempo ne seguo saltuariamente le sorti in tv perlomeno nelle occasioni in cui il divertimento visivo è almeno potenzialmente assicurato. Ma con molto distacco, per non dire peggio, visto quello che spesso è diventato e cioè, purtroppo, un ulteriore ambito del tentacolare mondo del “business”.
Ma, da ex bluceleste pur “minore”, non ho potuto non gioire vedendo la recentissima impresa che ha portato meritatamente l’A.C. Lecco alla serie B.
Quindi impossibile da parte mia non respirare una qualche nostalgia per i gli anni trascorsi nel settore giovanile fino ad entrare nella rosa della “prima squadra” che militava in serie C ma lottando sempre in quegli anni, con fasi alterne, per il passaggio in B.
A 69 anni non voglio certo vestire i panni del vecchietto che vive di ricordi, semmai il contrario, ma come non ricordare alcuni brevi flash di vita: visto lo spareggio appena finito col Foggia (complimenti in particolare per il bel gioco visto all’andata, il ritorno me lo sono perso essendo in viaggio) mi riappare l’istintiva simpatia che promanava la goliardia di un “certo” Giorgio Maioli, una vera bandiera del Foggia anche in serie A, che aveva finito la sua prestigiosa carriera proprio a Lecco. A lui “sinistro fantasioso” ho visto fare una incredibile quanto semplice “invenzione” di punta col destro, bruciando sul tempo l’avversario e insaccando. Purtroppo nella mia pur breve ricerca in internet apprendo ora della sua recente scomparsa nel settembre 2022.
O come non ricordare il “navigato” baffo di Cremaschi assieme al suo gemello tutto sinistro Mambrin, o il velocissimo Marchi (vera imprendibile saetta che anche in allenamento difficilmente riuscivi a fermare) in coppia col gemello milanista Frank. E ancora come non rivedere, in tema di velocità, il volto di Maurizio Zandegù con cui abbiamo condiviso con molti altri (impossibile nominarli tutti ma ben presenti nella mia memoria) il percorso delle giovanili.
O, sempre in tema di giovanili, il torneo di Montè (non mi ricordo più nemmeno come si scrive) in Svizzera in cui chiamati ad onorare, in occasionale sostituzione del Milan, il locale torneo internazionale eravamo stati battuti, tra molte squadre partecipanti, solo in finale da una squadra ungherese. Come non provare ancora quel brivido lungo la schiena durante l’esecuzione dell’inno nazionale prima dell’inizio di quella quasi epica partita.
Io che mi considero cittadino del mondo e quindi scevro da eccessi di nazionalismo, lì per la prima e forse unica volta nella mia vita mi sono profondamente emozionato all’udire quell’inno: il farci onore in quella partita lo dovevamo ad alcuni lavoratori italiani, forse un po’ “maltrattati” in quel contesto, che ci avevano chiesto di vincere per loro, quasi a mo’ di riscatto sociale. Peccato che nonostante la nostra partita belluina la finale era andata agli ungheresi pur con solo 1 gol di scarto, ma comunque consolati ed applauditi dai “nostri” compatrioti.
Tanti gli episodi, i ricordi e i volti che mi scorrono davanti. Non cerco neppure di elencarli, ma li conservo indelebilmente.
Ma 3 episodi in particolare mi inorgogliscono un po’, pur nel contempo esercitando una doverosa auto-ironia: la partita con la Beretti all’Arena di Milano contro una Inter stellare dei Bordon, Bedin (a fine carriera ma reduce da un mondiale) e un Muraro imprendibile: 1 a 0 per loro.
Un secco 3 a 0 contro il Milan al Bione con 3 gol di Egidio Calloni, il bomber su cui spesso col mio amico Antonio Meregalli (lui stopper, io libero) ancora oggi ci prendiamo reciprocamente in giro dicendo che a fine partita eravamo stati letteralmente accompagnati agli spogliatoi con la testa ronzante per le “sberle” calcistiche ricevute.
L’amichevole con l’Inter (Prima squadra, quella dei campioni) e lo “straniamento” provato quando mister Brighenti mi aveva affidato la marcatura di quel Sandro Mazzola, che avevo imparato a conoscere da ragazzo sulle mitiche “figurine” Panini. E ancor più quando, dopo il 3 a 1 a nostro sfavore, nell’allenamento successivo avevo chiesto a Brighenti se mi stesse prendendo per i … fondelli perché stava dicendo agli altri che aveva nel secondo tempo dovuto farmi cambiare marcatura appioppandomi un certo Mutti Bortolo (tra l’altro convocato in nazionale juniores e poi, a fine carriera, allenatore di squadre blasonate come il Napoli … che peraltro, appena rientrati, mi fece goal con un poderoso colpo di testa) perché non “francobollassi” troppo la “stella” Mazzola in qualche modo ombreggiando la “passerella” a lui dovuta . E mi aveva pure risposto che lo diceva seriamente anche se io non gli ho mai del tutto creduto.
Mi fermo qui, scusandomi di questa forse un po’ patetica carrellata di ricordi. Ma è questo che le immagini recenti della B per il Lecco mi hanno istintivamente indotto a rivivere.
Mi rammarico soltanto che sempre in tema di A.C. Lecco e del suo Presidentissimo Mario Ceppi la cui azienda FILE, costruita da lui in molti e prestigiosi anni (e spesso verosimilmente associata alla finalizzazione di parte dei suoi proventi alle sorti appassionate della squadra), sia oggi da tempo chiusa e nella sua ex sede, a pochi passi dallo stadio Rigamonti/Ceppi, sia prevista una cosiddetta “rigenerazione urbana” mentre per anni io, con tutti gli altri colleghi lavoratori, abbiamo perseguito una caparbia lotta di resistenza ad una chiusura che è apparsa a molti come preordinata e strumentale agli interessi di chi ne aveva acquisito la proprietà.
Una lotta determinata ma soprattutto “propositiva” perché finalizzata non solo al il mantenimento dei nostri posti di lavoro, ma soprattutto a fornire con una progettualità “dal basso” uno stimolo concreto al rinnovamento industriale lecchese su base innovativa. Stimolo che allora il cosiddetto “Sistema Lecco” (così, per primi, noi l’avevamo battezzato) non aveva voluto nei fatti, e non nei proclami, raccogliere.
Ora ai Lecchesi ( io non abito a Lecco, ma vi ho lavorato per oltre 30 anni) comunque vigilare sia sulle sorti della B che dell’area dell’ex stabilimento.
Germano Bosisio
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