Siamo alla conclusione del discorso d’invio – il secondo nell’impianto dei cinque su cui si regge lo scritto di Matteo – e lo sfondo culturale è proprio dell’antico: si tratta qui dell’istituto cosiddetto dello Šaliaḫ per cui «l’inviato di un uomo è come l’uomo stesso», pure nelle parole di Gesù troviamo intensità ben più profonda, non semplicemente di rappresentazione, pur solenne e giuridicamente forte, piuttosto di più intenso spirituale vigore. Interessante in questi pochi versetti il ripetersi continuo, della parola “accogliere” di evidente risposta agli inviati che portano una parola, anzi diremmo – pare l’affermi lo stesso Signore – una sua presenza. Riflettiamo come il Signore Gesù sia l’inviato, l’apostolo vero, di Dio: la missione è propriamente la sua presso noi uomini.
Gli apostoli, cui immediatamente sono rivolte le sue parole, continuano la sua opera, il suo annuncio agli uomini, non nel senso che si identifichino, diremmo misticamente, con lui, piuttosto ne recano tutta la forza, la potenza, il dono. Rispondere nell’accoglienza a questi inviati – agli apostoli – è segno certo, incontrovertibile di accoglienza del Signore Gesù stesso e dunque della sua missione; accogliere lui e ancora – come sottolinea lui stesso – chi ancor primo invia, ed è il Padre celeste. Una prima riflessione, mi pare sia da porci sull’accoglienza che noi prestiamo al messaggio che ci viene – e qui ci si dice – sia alla persona stessa del Signore Gesù; subito siamo sollecitati alla fede nella Parola che ci è trasmessa da lui attraverso i suoi inviati, gli apostoli a noi presenti proprio in quella tradizione “apostolica” che ci è offerta nella santa Chiesa. Ma forse più profondamente questa parola dei vangeli ha da essere tolta anche dalla storia per sentirla viva oggi, rivolta, non solo ad alcuni, ma a tutti i discepoli del Signore: rivolta allora anche a noi.
A tutti noi è dato impegno d’annuncio – senza garanzia di successo, come lungo tutto il discorso di missione di questo capitolo decimo di Matteo, ha dichiarato Gesù – ma con questo impegno-dono di annunciare (e come se non con la nostra stessa vita?) secondo l’invio (e l’intensità che diventa presenza) del signore Gesù. Non sarà questione di predicare per convertire, per fare cristiani, sarà piuttosto presenza e testimonianza che, come ci assicurano questi versetti di Matteo, voce del Signore, danno possibilità accogliere Gesù stesso e in lui del Padre.
Don Giovanni Milani