‘UN PO’ DI BUON SENSO’:
L’ARCIVESCOVO INVITA
A MODESTIA E LENTEZZA

LECCO – Nella Basilica di San Nicolò l’arcivescovo Mario Delpini ha inaugurato l’anno pastorale 2020-21 pregando con i fedeli, le comunità, i movimenti e le associazioni del Decanato di Lecco. Una veglia tra diversi linguaggi – dalla preghiera alla riflessione personale e alla testimonianza, dal canto alla recitazione di brani letterari famosi, dalla bellezza di evocative immagini artistiche alla lettura di stralci della proposta pastorale per l’anno 2020-2021 – nella quale è lo stesso arcivescovo a presentare la sua proposta. Accanto all’Arcivescovo ci sono il Vicario per la Zona III monsignor Maurizio Rolla e il prevosto di Lecco monsignor Davide Milani.

“Vorrei che lo stile del nostro andare fosse caratterizzato da una specie di entusiasmo, una specie di modestia, una specie di lentezza. Diamo un nome all’esperienza che abbiamo vissuto, cerchiamo di trovare gioia nella vita, una voglia di ascoltare con pazienza aspettando che il seme porti il suo frutto con la lentezza di cui ha bisogno la verità per diventare luce”. È questo ciò che l’arcivescovo si augura per il cammino della Chiesa ambrosiana in questo anno pastorale.

Si inizia con “La prova che abbiamo vissuto”, in riferimento ovviamente alla pandemia, la cui incidenza nel territorio di Lecco viene raccontata dal sindaco Virginio Brivio: “Positive 3000 persone, poco meno di 500 nella sola città, 478 da marzo a giugno i defunti, oltre 60 in Lecco. 300 gli interessati, in questi giorni, dalla quarantena, avendo toccato il numero complessivo di oltre 3000 persone isolate anche per periodi lunghi”. E, ancora, i dati positivi, con i più di 300 anziani che hanno ricevuto aiuto, 430 persone raggiunte a domicilio e il ritorno in estate alla parziale normalità nell’oratorio. Significativo il ruolo della Fondazione Comunitaria Lecchese, con la gestione di donazioni pari a oltre 5 milioni di euro, raccolti da quasi 9000 soggetti, con una massiccia contribuzione popolare.

“Un segno di speranza per tutti – per chi crede e chi non crede – e di responsabilità, perché la comunità non si costruisce a casa propria nelle proprie certezze, ma insieme, anche per contrastare una peste come quella del Covid”, conclude Brivio, poco prima che l’attore Matteo Bonanni interpreti proprio il brano sulla peste tratto dal 31° capitolo dei Promessi Sposi.

Poi, l’alternarsi di pagine della proposta lette dall’arcivescovo, momenti di elevazione musicale – il maestro Gianluca Cesana all’organo con la soprano Fiorella Pedrone eseguono Bach – l’ascolto della parola di Dio e la testimonianza di don Marco Della Corna, prete da soli 10 giorni e responsabile della Pastorale giovanile della Comunità pastorale Madonna del Rosario. “Nel silenzio ho incontrato la Sapienza e mi sono lasciato incontrare dicendo il mio “sì” per sempre. Ho vissuto il silenzio contrapposto al rumore, una guida contrapposta all’autoreferenzialità, una gioia contrapposta al riempitivo”, sottolinea il giovane sacerdote.

“Volevo intitolare la Proposta “Un po’ di buon senso” – spiega l’arcivescovo – per dire che le nostre comunità devono darsi, forse, una calmata e le nostre iniziative devono essere proporzionate alle forze che abbiamo. E quindi avevo immaginato la lettura del Libro del Siracide che è una raccolta di espressioni di buon senso e di testi propositivi su come essere dentro la società, trattare le ricchezze, comportarsi in famiglia. Poi è arrivata la pandemia, un tempo così tragico e complicato che aveva anche avuto reazioni scomposte – persone che dicevano che non era niente e persone terrorizzate – e allora avevo pensato a un altro titolo: “Non è obbligatorio essere stupidi”. Infine abbiamo scelto il titolo “Infonda Dio sapienza nel cuore”, ossia una visione più religiosa e intensa di questa ricerca della sapienza”.

Il richiamo è al sottotitolo, “Si può evitare di essere stolti”, là dove lo stolto è chi vive le cose drammatiche con superficialità e quelle ordinarie senza capirle: “Questa stoltezza si può evitare, non per buona educazione, ma perché si invoca un’interpretazione più profonda del dramma, una sapienza più grande, una lettura più condivisa delle situazioni, un’elaborazione più sinodale delle decisioni”.

Nella logica complessiva di queste linee della proposta, definita “un testo base”, va compresa anche la prima Lettera scritta alla Chiesa ambrosiana. Testo nel quale vengono indicate alcune date particolari, come la domenica dell’Ulivo. Un recupero della domenica delle Palme, ma con un significato in più: “La celebreremo con un simbolo che vorrebbe rievocare la colomba che torna con un rametto di ulivo nel becco per dire che il diluvio è finito; per dire che Dio non è stanco dell’umanità e fa ancora alleanza con noi”.

“Poi – spiega ancora il vescovo – vorrei scrivere una lettera più semplice all’inizio dell’Avvento, una per la Quaresima e Pasqua e una per il tempo dopo la Pentecoste. Tuttavia, prima di fare calendari, occorre recuperare un momento di sosta, di meditazione su ciò che ciascuno, la comunità cristiana, la società, il mondo intero ha vissuto. Bisogna dare un nome all’esperienza, confrontarsi, raccogliendo pareri diversi, considerando che l’amicizia è un modo per cercare la verità. Tanti percorsi possono aiutarci ad attingere la sapienza che viene dall’alto”.

In conclusione, arriva una sorta di “riassunto” dei frutti spirituali che l’arcivescovo si augura possano venire da queste sue lettere e “da tutto quello che è scritto nella vita ordinaria delle comunità”. Tre le indicazioni: “Invoco dal Signore e vi auguro una specie di entusiasmo per dire come è bella la sapienza che ci aiuta a interpretare il mondo, ragionando insieme dei valori che ci tengono uniti e come è bello cercare le parole che danno speranza anche nella tribolazione. Un atteggiamento, questo, oggi cancellato, perché sembra che siamo diventati tutti, se pure competenti ed efficienti, coperti da una specie di grigiore che il lamento contribuisce a incrementare. Nel Siracide c’è un uomo che si entusiasma per la Sapienza che esce dalla bocca dell’Altissimo e dà bellezza a tutte le cose. Non è un’euforia, un’eccitazione momentanea, ma qualcosa che arde dentro per quello che il Signore ci rivela”.

Secondo, “una specie di modestia, cioè una consapevolezza del proprio limite, infatti raccomandata dal Siracide che indica il timor di Dio. L’atteggiamento di chi non presume di sapere già, un’attitudine ad ascoltare e a lasciarsi istruire: la modestia del discepolo che vuole imparare”.

E, infine, “una specie di lentezza, un procedere non nervoso, un modo di concedere al tempo di produrre frutto; la lentezza di chi ascolta prima di parlare, di chi fa passare il tempo prima di concludere con affermazioni perentorie”.