L’OPINIONE: STATO-MAFIA,
“FORSE OCCORREREBBE
NON CREDER PIÙ ALLE FAVOLE”

Immaginiamo un arresto eccellente inserito in un racconto di uno scrittore specializzato in romanzi sulle Mafie.

Immaginiamo che in questo suo libro sappia descrivere un ipotetico Stato che dovrebbe costantemente contrastarle con i suoi vari apparati ma al contrario sembrasse favorire un loro “paludamento” anche in parti significative delle proprie istituzioni, consentendo peraltro la riproposizione continua di una fiabesca narrazione mediatica riguardante solo presunti imprendibili e a volte improbabili “padrini” agresti.

Supponiamo, sempre nella trama dell’ipotetico libro, questo mondo mediatico raffigurato in gran parte come dormiente ma che, in ragione di ripetuti elementi concreti, sia costretto finalmente ad interrogarsi sulle reali responsabilità di certi fatti concatenati accaduti nel tempo. Funzione esercitata in precedenza solo da pochi suoi coraggiosi componenti.


Immaginiamo inoltre una perdurante “rappresentazione di comodo” tesa a dipingere in modo fuorviante come “guerra tra bande” una presunta contrapposizione tra Magistratura e Politica.


Una contrapposizione invece derivata semplicemente dall’adempimento da parte delle forze inquirenti e giudicanti del proprio ruolo istituzionale di applicazione anche a certi “colletti bianchi” o “biancosporchi” del fondativo principio costituzionale dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge. Principio da cui quest’ultimi avrebbero ben voluto essere esentati.


Il tutto in un quadro narrativo dove spesso vengono strumentalmente rovesciate le parti.


Una “fiaba” dove, ad esempio, anche la celebrazione retorica degli eroi morti in nome dello Stato può mascherare il mancato sostegno nei confronti dei suoi “servitori” più esposti ancora in vita.


Una “fiaba” secondo cui può anche risultare facile accomunare intere popolazioni non solo locali a pratiche omertose, non volendosi però mai interrogare a fondo sulle perlomeno concause di tali “pratiche”.


Perché infatti questo “immaginifico Paese” non sembrerebbe volersi realmente chiedere quali siano alcune motivazioni delle mancate “denunce” dei propri cittadini. Mancate “denunce” che potrebbero anche essere frutto del loro scetticismo, comunque da non alimentare mai, circa l’effettiva volontà delle proprie Istituzioni, o almeno di una parte cospicua di esse, di perseguire realmente la ricerca della verità sui troppi episodi oscuri che hanno costellato la sua martoriata storia.


Contiguità e connivenze non solo percepite ma anche oggettivamente verificabili perché nel “libro-realtà”, contrapposto al “libro-favola”, a ben vedere ci sarebbero tante vicende e fatti oggettivi tutt’altro che fiabeschi che hanno coinvolto a vari livelli le nostre Istituzioni.


Ad esempio ci si dovrebbe interrogare a fondo sul perché non si sia dato seguito ad approfondimenti risolutivi su segnalazioni mirate rimaste invece nei cassetti, testimonianze circostanziate ignorate, ripetute devianze di apparati “d’intelligence”, filmati ed intercettazioni inequivocabili, sentenze su indicibili “trattative” e relative “coperture”, strane morti di collaboratori, rimozioni e trasferimenti di personale investigativo, estromissioni da incarichi, provvedimenti cautelativi inspiegabilmente non adottati, plurimi e comprovati depistaggi, audizioni richieste e mai concretizzate, e quant’altro “inquietante materiale”.


E come potrebbe uno Stato risultare credibile senza rimuovere queste palesi contraddizioni “interne”, tutt’altro che solo ombre? A maggior ragione se lasciasse emarginare quei “testardi e fastidiosi” uomini e donne delle proprie Istituzioni che si sono battuti e continuano a battersi per superare realmente queste contraddizioni?

E come potrebbero i suoi cittadini “pensanti” non pretendere , approfondendo i fatti con sempre maggior consapevolezza, di essere messi in condizione di distinguere i volti credibili da quelli variamente collusi ed “impaludati”?

Distinguendo ad esempio i credibili, da tutelare al massimo, tra coloro che hanno pervicacemente cercato per anni di catturare i boss, dagli altri che al momento giusto magari li avvertivano consentendo loro di sottrarsi alla cattura.


Ma soprattutto pretendere che siano massimamente tutelati coloro che stanno ancora faticosamente tentando, sempre a nome nostro, di dipanare “misteri” variamente collegati tra di loro.


Ma forse per far svanire auspicabilmente lo sconcertante “racconto fiabesco” del libro sopra ipotizzato, occorrerebbe che ognuno, in ogni ruolo, s’impegnasse a far la propria parte e/o s’imponesse perlomeno di non credere più a favole tranquillizzanti.

Germano Bosisio
Lecco