25 APRILE, DA ESINO LIBRO SU SCHUSTER E CHIESA DI MILANO PROTAGONISTI

ESINO LARIO – Siamo giunti al 25 aprile, la data simbolo della Liberazione dal nazifascismo, che quest’anno ricorda il suo ottantesimo anniversario.

Il beato Ildefonso Schuster, un benedettino esemplare - La Nuova Bussola Quotidiana

C’è un prima e un dopo in questa ricorrenza, un periodo storico che fu chiamato dall’allora Arcivescovo di Milano, il Cardinale Idelfonso Schuster oggi Beato: “gli ultimi tempi di un regime”. Un periodo che si colloca nell’ultima parte dei seicento giorni di terrore, dal settembre del 1943 all’aprile del 1945, in cui Milano e il Nord Italia vissero i tempi più terribili.

Molti fatti di quei durissimi mesi in cui il Regime si agitava negli spasimi delle sue agonie non sono del tutto conosciuti, o molti sono stati offuscati per essere dimenticati. È allora doveroso tornare a ricercare per ricordare e trasmettere la storia di chi ha costruito la storia di tutti.

Una nuova pubblicazione

È l’esito di una prossima pubblicazione edita dall’associazione culturale Quaderni di storia Esinese, dal titolo:

“La Chiesa di Milano protagonista negli ultimi tempi di un regime – In ricordo del suo Vescovo, dei preti, dei religiosi e delle religiose e di don Giovanni Battista Rocca nell’Ottantesimo della Liberazione”. Il lavoro, che attinge alle fonti poco note del Fondo archivistico “Gli ultimi tempi di un regime” dell’Archivio storico diocesano di Milano, riassembla, riordina e commenta alcune memorie dell’Arcivescovo di Milano e di alcuni suoi collaboratori, che già in parte Schuster in quei lontani tempi volle pubblicare in una specie di “Libro Bianco”.

Questi documenti che non possono essere ignorati, come scrive bene Giorgio Rumi nell’introduzione alla biografia di don Giuseppe Bicchierai di Amelia Belloni – editore Franco Angeli, “risolvono una volta per sempre il ruolo della Chiesa Ambrosiana, che ha de facto una funzione primaziale per tutta l’Italia Settentrionale, di fronte al tedesco occupante ed al collaborazionismo di Salò”.

La Resistenza cattolica, quella dei preti, dei religiosi, delle religiose, di associazioni di vario genere, di donne e uomini, fu una “Resistenza di popolo”, dove la Chiesa è intervenuta per salvare il salvabile, in termini di persone, strutture, fattori produttivi. Per i cristiani, come ebbe a rispondere don Rocca ai fascisti repubblichini che lo avevano arrestato e processato, si è trattato di operare rispondendo alla più grande delle virtù teologali secondo San Paolo: la carità.

Questa resistenza, che in parallelo si accompagnò per merito dell’Autorità Ecclesiastica milanese a numerosi tentativi di accordi di resa tra i belligeranti per ridurre le tragedie, trovò nel Cardinale di Milano la vera guida, supportato dai suoi collaboratori, e tra questi da un “genio caritativo e anche diplomatico quale don Bicchierai, vero stratega ed alter ego di Schuster nel tempo della tempesta”.

Schuster, come si evince dai documenti riportati, ha l’autorità e il prestigio della porpora cardinalizia, sucessore nella cattedra ambrosiana di Ambrogio e di Carlo Borromeo, ma esprime anche una trasparente santità personale. Poi c’è don Bicchierai, che, come è riportato nel testo e nei documenti, tiene i contatti con i belligeranti, conduce le trattative ed ottiene i risultati, correndo ogni rischio, fino al limite del possibile, per poi rispondere, nel primo Anniversario della Liberazione, con una lunga intervista alle due domande cruciali che sono il punto centrale della pubblicazione:Chi ha salvato Milano dalla distruzione e come si è giunti alla resa?”

La Chiesa Ambrosiana negli ultimi tempi del regime

Già Roncalli, nunzio pontificio a Istanbul e futuro Giovanni XXIII, ebbe a scrivere che sotto l’episcopato di Schuster, la diocesi ambrosiana diventò “punto inaspettato di irradiazione come centro dell’Alta Italia”; ossia autorità morale riconosciuta da tutti e “tramite” tra le zone già liberate dai tedeschi e quelle ancora occupate, come Milano e l’Alta Italia. Di questo ne rendo ampia conferma con le testimonianze dei documenti riportati.

Anche Schuster scrisse nel suo libro bianco che gli mancò il tempo per stendere più diffusamente le sue memorie e che, in fin dei conti l’Arcivescovo di Milano non poteva concedersi il lusso di scrivere delle autobiografie.

Infatti, la Chiesa, come sempre, non ha bisogno di cercare e fissare delle strategie umane; deve solo applicare quelle che sono già scritte nel Vangelo. È il suo “mestiere” o, meglio, la sua missione. E, in quei tempi, lo ha fatto con tutto il suo “esercito” del popolo di Dio. E non contro qualcuno, ma per una alternativa totale a favore di una società completamente diversa, occupandosi di ciò che è umano e combattendo ciò che non era umano.

Molta riconoscenza è stata dedicata, grazie al Cardinal Martini, ai “ribelli per amore”, così definiti i preti che si sono impegnati in prima persona nella lotta ai soprusi e alla violenza, nascondendo ebrei, favorendo l’espatrio dei ricercati, diffondendo la stampa clandestina. Ha ben descritto le loro piccole biografie don Giovanni Barbareschi in un importante volume dal titolo Memoria di sacerdoti “ribelli per amore” edito dal Centro Ambrosiano.

Nei fondi archivistici, per ognuno di questi sacerdoti o religiosi o religiose c’è molto di più del racconto del loro apostolato di ribelli per amore. Tutti diedero ai bisognosi, a cominciare dai tanti parroci diocesani alle loro comunità, assieme al cibo spirituale, quello materiale e soprattutto direzione di governo. Ciò avvenne, ancor di più, quando i preti, sotto la grande guida del loro Arcivescovo rimasero dopo che tutti erano scappati, le uniche autorità materiali e morali riconosciute, in grado di guidare il loro popolo, anche nel scegliere i primi sindaci della Liberazione.

Don Giovanni Battista Rocca parroco di Esino e Bernardino Riva primo sindaco della liberazione

La nuova pubblicazione e il ricordo è un atto di gratitudine e di riconoscenza anche nei confronti di don Giovanni Battista Rocca, il grande parroco di Esino Lario dal 1927 al 1965, che la popolazione esinese lo volle riconoscere come il “più grande e autentico benefattore della comunità”. Infatti, come scrisse bene don Piero Oriani suo coadiutore e anch’esso “ribelle per amore”, don Rocca diede al suo popolo: “cibo spirituale, cibo materiale e direzione di governo”. E negli ultimi giorni di quel terribile aprile di ottanta anni fa, forte della sua autorevolezza morale tra i partigiani, corse trafelato nel palazzo comunale per fermare un gruppo di partigiani che con il motofurgone stavano andando a prelevare alcuni esponenti fascisti locali e consegnarli al Comando partigiano di Mandello per l’esecuzione. L’intervento del parroco, testimoniato poi nelle sue note, fu provvidenziale per i destinatari del provvedimento, infatti ebbero salve le vite. Ne ho scritto nel saggio “Conversazioni libere su don Rocca – Ragionamenti e mote d’archivio in attesa della sua biografia”, edizione Quaderni di storia Esinese, disponibile a questo link.

Ma vanno ricordati, in questo Ottantesimo della Liberazione anche i primi sindaci che subentrarono ai podestà fascisti e ai commissari prefettizi nominati dalle prefetture del governo fantoccio della Repubblica Sociale di Salò.

A Esino fu nominato Bernardino Riva, il proprietario del Villaggio Riva che diede un grande impulso allo sviluppo turistico del paese con l’aiuto di don Rocca.

Bernardino Riva, un imprenditore del tessile originario di Seregno abbellì il paese e diede lavoro alla popolazione con la costruzione di un bellissimo villaggio turistico. Proveniente da una famiglia di antifascisti, fu anche mandato dalle autorità fasciste per alcuni mesi al confino a Bibbiena in Toscana e più volte scampò all’arresto dai tedeschi, che lo cercarono anche a Esino, e alla deportazione in Germania. Anche la moglie, in quel periodo, trascorse un mese in carcere.

Don Rocca e Bernardino Riva, entrambi antifascisti, erano molto amici e fu il parroco esinese che convinse l’imprenditore a costruire il bellissimo villaggio, dopo che la Soprintendenza su pressione dell’autorità fascista locale, per inesistenti motivi, non permise al parroco di realizzarne un’opera analoga in altra parte del paese. L’architetto e progettista, in entrambi i casi, fu l’ing. Luzzani, altra figura antifascista, grande amico del parroco.

Dopo la liberazione dal nazifascismo si dovette procedere alla ricostituzione di una amministrazione pubblica che ovviamente doveva essere depennata da tutte le persone compromesse con il regime precedente.

Nel caso esinese don Rocca convocò tutta la popolazione nel salone del teatro dell’Asilo e, alla presenza di Celestino Ferrario presidente del Comitato di Liberazione di Lecco, indirizzò la popolazione a scegliere come primo sindaco della Liberazione il signor Riva, che certamente era la persona più qualificata e più autorevole per il difficile incarico.

Nello stesso periodo, anche il fratello di Bernardino, il dott. Arturo Riva anch’esso antifascista, frequentante la terra di Esino e studioso di Stoppani e della geologia della Brianza, fu nominato primo sindaco della Liberazione di Sovico.

Di Bernardino Riva, primo sindaco della Liberazione esinese, che diede impulso e lavoro per lo sviluppo turistico del paese in tempi difficili e che aiutò moltissimo, anche con mezzi finanziari il movimento partigiano locale, non c’è nessun ricordo. Il suo vissuto con la sua opera è comunque parte della memoria storica della comunità e quindi merita di essere conosciuto e ricordato.

Nella disattenzione delle amministrazioni è stata invece dedicata la piazzuola dell’eliporto locale all’ex comandante della guarnigione militare di Como dell’esercito della Repubblica Sociale di Salò, già presidente del tribunale provinciale straordinario di Pavia della stessa Repubblica di Salò; certamente esito di una non conoscenza della storia.

Valerio Ricciardelli