A CALOLZIO ALDO FERRARI RACCONTA LA RUSSIA, UN IMPERO EUROASIATICO

CALOLZIOCORTE – Si è concluso nella serata di martedì 24 il ciclo di incontri sulla geopolitica insieme all’associazione Identità Europea, con la presentazione del volume di Aldo Ferrari Russia, storia di un impero euroasiatico“.
Tenutosi al Monastero del Lavello di Calolziocorte, l’evento è stato presentato dall’assessore Luca Caremi: “Negli ultimi cinque anni i tempi si sono accelerati, abbiamo potuto osservare cambiamenti geopolitici che le generazioni precedenti hanno visto almeno in decenni: dalla crisi in Medio Oriente al conflitto russo‑ucraino, conoscere la storia profonda della Russia è essenziale per comprendere ciò che sta accadendo nel mondo”.

A presentare l’autore e moderare l’incontro Luigi Pedrone, referente per la Lombardia dell’associazione Identità Europea, che ha sottolineato l’importanza di approcciare il mondo russo senza preconcetti: “Ferrari è un esperto riconosciuto di storia del mondo russo. Con questo libro ci accompagna in un viaggio che parte dall’anno 1000, dalla Rusʹ di Kiev – prima vera entità slava – e arriva fino ai nostri giorni. In Occidente siamo abituati a pensare in termini di blocchi; qui, invece, scopriamo una storia che fa da ponte tra Europa e Asia.”

È stato quindi il turno dell’autore, professore ordinario presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e coordinatore dell’Osservatorio di politica e relazioni internazionali (OPRI), che ha spiegato la necessità di un testo italiano dedicato alla storia russa: “In libreria troviamo principalmente opere tradotte dall’inglese che vanno in questa direzione. In italiano contavamo solo due volumi: uno del 1945 ed uno del 1971. La mia indagine copre l’intero arco storico, dalle origini al conflitto russo‑ucraino, con una prospettiva eurasiatica: nessuna barriera naturale separa Europa e Asia, è un nostro costrutto mentale”. L’autore ha invitato a uscire da una “storia a blocchi” per abbracciare la visione eurasiatica: “La Russia ha corpo in Asia e testa in Europa: fonde tratti bizantini, slavi e asiatici. Solo guardandola da questa prospettiva si comprende la sua vastità e complessità.”

Ferrari ha quindi guidato il pubblico attraverso le tappe chiave della storia russa, a partire dalla Rusʹ di Kiev dell’862: una confederazione urbana in cui consigli cittadini e principi in rotazione coesistevano, fino alla conquista mongola del XIII secolo. “Ogni città, che resistette da sola – ha ricordato Ferrari – venne polverizzata. La lezione fu chiara: solo l’unità sotto un sovrano forte garantisce la sopravvivenza”.

È seguito il cristianesimo bizantino, a partire dalla data simbolica del 988: scelto dal principe Vladimir I di Kiev dopo un “concorso” tra fedi, in cui erano stati esclusi l’islam e l’ebraismo dei missionari Khazari, il cristianesimo ortodosso plasmò simbologia e liturgia: “Fu una terza via, né ebrea né islamica, che diede alla Russia un’impronta culturale unica”.

Il titolo di czar venne invece introdotto da Ivan IV “il Terribile” nel 1547: sotto il suo regno venne a consolidarsi la servitù della gleba e si indebolì la vita cittadina, sancendo il modello autocratico.

L’impero si avvicinò in maniera particolare all’Europa sotto il controllo di Pietro il Grande (1682–1725). Con il centro del potere a San Pietroburgo, l’Europa bussò alla porta russa: “Pietro il Grande adottò il titolo di imperator, più ‘latino’ nel linguaggio del potere, ma senza rinunciare all’autocrazia”.

Tutto cambia, però, con la Rivoluzione del 1917 e l’avvento dell’URSS: dal crollo dello zarismo al dualismo di Lenin, grigio burocrate ma non per questo meno sanguinario, e Stalin, dittatore che riprendeva a piene mani l’immaginario imperiale, il contatto tra le due realtà è andato sempre più diminuendo.

“Dopo il crollo del Muro – ha concluso Ferrari -, El’tsin spalancò le porte ad un contatto con l’Europa, ma fu un’apertura convulsa; con Putin la Russia è tornata all’accentramento del potere, dissolvendo l’illusione di un’immediata adesione all’Europa”.

Riguardo al conflitto in Ucraina, Ferrari ha voluto smontare con decisione la narrazione di un’escalation improvvisa: “La guerra non inizia il 24 febbraio 2022. Già nel 2003–2004, con l’ingresso dei Paesi baltici nella NATO e le “rivoluzioni colorate” in Georgia e Ucraina, si gettarono le basi di una crisi di sicurezza reciproca. Nel 2007, poi, i missili NATO in Romania e Polonia furono percepiti da Mosca come una minaccia diretta”. Il primo punto di non ritorno si segna però nel 2014, con la destituzione del presidente ucraino Viktor Janukovyč, l’annessione russa della Crimea e i combattimenti per il Donbass; queste vicende, in cui la Russia ha mobilitato i propri militari per attaccare apertamente un paese sovrano, hanno dato inizio alla destabilizzazione.

Con l’elezione di Zelens’kyj, che nel suo programma elettorale prometteva lotta alla corruzione e pace con la Russia dopo i fatti del 2014, si sperava in un cambio di passo; l’azione di pressione della Nato, che ha armato preventivamente i confini con la Russia e spinto l’Ucraina ad aderire all’alleanza, ha peggiorato ulteriormente la situazione. Ferrari ha sottolineato che l’attacco russo all’Ucraina, oltre ad essere una violazione smaccata del diritto internazionale, ha segnato un precedente pericoloso perché è stato “un’azione preventiva per un pericolo, quello di un attacco ucraino, che a livello pratico non avrebbe potuto arrecare particolari danni alla Russia. Con quell’attacco, la Russia è passata irrimediabilmente dalla parte del torto sui tavoli delle trattative”.

Ferrari ha infine offerto una riflessione sulla traiettoria recente: “Dopo il crollo dell’URSS molti, tra cui diversi politici europei all’alba del nuovo millennio, speravano in un’Europa ‘da Lisbona a Vladivostok’. Invece la Russia ha scelto, anche a causa delle mosse occidentali, di proseguire un percorso autoritario che l’ha allontanata dal Vecchio Continente. Oggi è un dato di fatto: sotto Putin la democrazia si è contratta drasticamente. Tuttavia, ignorare le ragioni di Mosca non permette di comprendere la situazione nel complesso”.

L’incontro è terminato con le domande del pubblico, che hanno portato ad un intenso dibattito sulle ragioni dell’attuale conflitto e sulle possibili soluzioni.

Michele Carenini