LECCO – Una serata intensa e partecipata quella organizzata dal Coordinamento lecchese “Stop al Genocidio” in collaborazione con Amnesty International – Lecco, il Circolo Arci Spazio Condiviso di Calolziocorte e l’Associazione Comunità Il Gabbiano Odv in Sala don Ticozzi a Lecco. Al centro dell’incontro, la presentazione del nuovo rapporto di Amnesty International sul genocidio palestinese, con testimonianze, dati e analisi che denunciano gravi violazioni dei diritti umani.
La serata è stata moderata da Duccio Facchini, direttore della rivista Altreconomia, e ha visto la partecipazione di Chantal Antonizzi, referente del Coordinamento Asia Sud Occidentale e Nord Africa (SWANA) di Amnesty International, e di Antonio Scordia, responsabile nazionale dello stesso coordinamento. Nella stessa occasione, il Coordinamento “Stop al Genocidio” ha presentato il progetto “Gaza Chiama, Lecco Risponde”.
Duccio Facchini ha aperto la serata sottolineando come il territorio lecchese continui a seguire con attenzione gli sviluppi nella Striscia di Gaza, organizzando eventi e mantenendo vivo un filo di solidarietà nonostante i tentativi di normalizzazione del conflitto che stanno avvenendo in occidente.
Il giornalista ha inoltre ricordato alla platea il recente caso avvenuto al porto di Ravenna, dove un carico assimilabile a materiale d’armamento, spedito verso Israele dalla società valsassinese Valforge, è stato oggetto di indagine: il tribunale ha confermato che la società aveva già esportato verso il paese già precedentemente.
Antonio Scordia ha denunciato il “colonialismo d’insediamento” non solo in Palestina, ma anche in Siria e Libano, dove Israele “continua a bombardare con pretesti fallaci”. “Questa situazione è un buco nero per i diritti umani – ha affermato – e la comunità internazionale applica un doppio standard: perché in Ucraina sì e in Palestina no?”
Chantal Antonizzi ha ricostruito il contesto antecedente al 7 ottobre, parlando della situazione a Gaza, in Cisgiordania e per i palestinesi in Israele. Ha ricordato il rapporto del 2022 di Amnesty che definiva il sistema israeliano come un regime di apartheid. “Anche i palestinesi che vivono in stati terzi ne sono soggetti”, ha spiegato, evidenziando come per loro sia praticamente impossibile tornare nel loro stato perché i coloni possono legalmente prendere possesso delle loro case, una volta lasciate per un determinato lasso di tempo.
Antonizzi ha citato il caso del film premiato agli Oscar No Other Land, che mostra come ai palestinesi, per lo stesso motivo, non vengano sostanzialmente concesse autorizzazioni per costruire infrastrutture ed edifici, costringendoli a vivere sotto la costante minaccia di demolizioni ed espropri da parte dei coloni.
“Israele impedisce il ritorno degli sfollati e degli espatriati. Le case abbandonate vengono occupate dai coloni. È una strategia per controllare e segregare”, ha sottolineato.
Il nuovo rapporto di Amnesty, frutto di nove mesi di indagini, testimonianze, immagini satellitari e analisi delle armi, si concentra in particolare sull’intento genocida del governo israeliano e sul linguaggio di disumanizzazione operato contro i palestinesi. I primi tre punti della Convenzione sul Genocidio – uccisione, danni gravi fisici o mentali e condizioni di vita distruttive – sono tutti riscontrabili, secondo Amnesty, nella situazione di Gaza e della Cisgiordania.
Tra i dati più drammatici riguardanti il conflitto, risaltano in particolare 216 giornalisti e 1.209 operatori sanitari uccisi, il 98% della popolazione sfollata, spesso più di una volta, e un numero che fa ancor più spavento: il 100% delle vittime palestinesi sono civili.
Antonizzi ha denunciato la distruzione deliberata di infrastrutture, terre agricole (con diserbanti e acqua salata), siti culturali e religiosi, e persino cimiteri. “La memoria e l’identità di un popolo, in questo modo, vengono cancellate”, ha detto.
Il rapporto documenta video di soldati israeliani che ridono e insultano i palestinesi, pubblicati senza vergogna. “A Gaza non ci sono civili, solo disarmati”, si legge in alcune dichiarazioni. “È una guerra tra figli della luce e delle tenebre”.
Facchini, a seguire, ha ricordato un episodio simbolico: la visita del neo-cancelliere tedesco Friedrich Merz al presidente statunitense Donald Trump, durante la quale ha donato il certificato di nascita del nonno di Trump, nato in Germania. “Fa riflettere che in un contesto di genocidio come quello palestinese ad essere colpiti per primi siano anagrafe e catasto, per cancellare dalle radici la memoria di un popolo, e che Usa e Germania – principali fornitori di armi a Israele – celebrino simili gesti”, ha ricordato Facchini.
Il Coordinamento lecchese “Stop al Genocidio” ha in seguito denunciato il ritorno del termine “pulizia etnica” nel dibattito pubblico. “Alla base c’è il sionismo, che prevede che solo gli ebrei possano vivere in Israele. Ma essere antifascisti e volere la pace significa essere antisionisti, non antisemiti”.
Sono stati citati i detenuti senza processo nelle carceri israeliane, tra i quali anche i minori, le responsabilità dei governi occidentali e delle banche che finanziano l’industria bellica. Il Coordinamento ha sottolineato la necessità di fare i nomi dei coinvolti, per permettere un efficace boicottaggio pacifico: tra le aziende coinvolte nel mercato delle armi la britannica Rolls Royce, l’italiana e partecipata del Governo Leonardo e banche come Intesa Sanpaolo e Bper Banca, che ha acquistato war bond israeliani per 99 milioni di euro.
In un video, il Coordinamento ha infine mostrato la storia di Mohamed, giovane ingegnere palestinese laureato a Dalian, in Cina, che ha deciso di tornare a Gaza per aiutare il suo popolo: il ragazzo ha costruito una tenda-scuola nel campo profughi di Nuseirat che dà istruzione a circa cento bambini e, nel periodo di massima presenza, a quasi 200. Con il sostegno delle donazioni tramite l’organizzazione lecchese, il progetto è attivo nonostante la situazione precaria e i bambini possono vivere momenti di normalità in una situazione terribile come quella della Striscia.
“L’istruzione, per i palestinesi, è una forma di resistenza”, ha detto il Coordinamento. “Speriamo che questa serata ci spinga ad aiutare un popolo dimenticato, ma ancora capace di speranza”.
Michele Carenini