ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI:
“SI STANNO RISPETTANDO
LE REGOLE DEI BANDI?”

quileccolibera logoLECCO – Migranti, accoglienza e servizi: chi controlla gli enti gestori? Esistono gli strumenti di verifica in capo alla Prefettura (da febbraio). Sono stati utilizzati? Registrata la riconferma a inizio mese dell’incarico alla Fondazione Progetto Arca, Qui Lecco Libera chiede un momento pubblico e trasparente di verifica, partendo proprio dai documenti che le associazioni che gestiscono i centri di accoglienza avrebbero dovuto produrre in questi mesi di lavoro.

Gentile redazione,

a oltre sette mesi dall’avvio delle procedure di accoglienza dei richiedenti asilo coordinate -per conto del ministero dell’Interno- dalla Prefettura di Lecco (la “fase 1”), il progetto per un’accoglienza diffusa dei migranti su tutto il territorio provinciale (“fase 2”) sembrerebbe -stando alle cronache locali- finalmente prendere corpo.

Con il “modello prefettizio” costituito da poche strutture ed elevate concentrazioni in luoghi talvolta periferici del territorio, avrebbe dovuto avviarsi alla pensione anche la “poco dignitosa” soluzione adottata presso il centro sportivo del Bione a Lecco, dove nel nome di presunte logiche di ordine pubblico, circa 120 persone sono state collocate ai margini della città ed esposte agli sguardi di tutti attraverso delle reti metalliche, vanificando così qualunque ipotesi di integrazione. Scriviamo “avrebbe dovuto avviarsi alla pensione” perché la Prefettura di Lecco, all’inizio del mese di ottobre, ha concluso una procedura di “aggiudicazione definitiva” che ha visto prevalere proprio la Fondazione Progetto Arca Onlus, che gestisce da mesi anche quel centro, grazie “all’offerta di €. 34,74, pro-die, pro-capite” (“Sulla base del minor prezzo”, si legge nel provvedimento di aggiudicazione definitiva), confermandosi  così la cooperativa numericamente “prevalente” sul territorio della città di Lecco.

Il presunto imminente avvio della “fase due” -che come i fatti di inizio ottobre hanno dimostrato è assolutamente incerto-, non significa non dover più fare i conti con il modello di accoglienza “denso” voluto (e imposto) dalla Prefettura di Lecco. Un modello che è ancora oggi tenuto, stando agli atti pubblici che descriveremo, a garantire i diritti delle persone che lo vivono.

Pensiamo ai drammatici resoconti, alcuni resi pubblici durante la nostra serata di metà settembre in compagnia dell’avvocato Asgi Paolo Oddi, circa le condizioni di vita presso alcune strutture, o alle gravi manchevolezze di alcuni enti che si sono aggiudicati in passato l’appalto bandito dalla Prefettura.

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Gli atti pubblici cui facciamo riferimento sono il bando di aggiudicazione emesso dalla Prefettura di Lecco nel febbraio 2015 per il “servizio di accoglienza di cittadini stranieri presenti ed eventuali futuri richiedenti protezione internazionale e la gestione dei servizi connessi” e i relativi allegati (in particolare A e C). Proprio questi ultimi individuano l'”oggetto dell’appalto” in carico agli enti vincitori (e destinatari dei famosi 35 euro al giorno per migrante “ospitato”): si va dai servizi di “trasporto alle strutture sanitarie” all’erogazione dei pasti, dal “vestiario adeguato” alla “tutela della salute”, dal “servizio di assistenza linguistica e culturale” al “servizio di informazione sulla normativa”, fino all’“orientamento al territorio”. Inoltre, valgono anche in questa fase le cosiddette “linee guida SPRAR” (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), dove tra le altre cose sono richiesti obbligatoriamente “corsi di apprendimento e approfondimento della lingua italiana, senza interruzioni nel corso dell’anno, per un numero minimo di 10 ore settimanali”.

Ha ragione quindi chi sostiene che l’emergenza imponga l’azione -come quelle associazioni o singoli che hanno fornito cibo, assistenza linguistica, calzature e non solo ai richiedenti asilo nei mesi scorsi, supplendo alle gravi carenze di alcuni degli enti preposti, hanno dimostrato-, ma gli stessi obblighi che la Prefettura ha posto a carico dei soggetti che si sono aggiudicati la gestione della “fase 1” -valore presunto in partenza pari a 1,8 milioni di euro-, impongono un momento pubblico e trasparente di verifica.

Lo strumento esiste ed è indicato nel bando prefettizio stesso: “L’impresa dovrà trasmettere alla Prefettura di Lecco, ogni giorno, a mezzo e-mail, un elenco nominativo degli immigrati effettivamente ospitati e mensilmente una relazione riepilogativa sui servizi erogati nel mese precedente” (punto 2). Sorvoliamo sull’indirizzo mail prescelto per l’invio delle relazioni, emergenza.migranti.africa@prefettura.lecco.it (i cittadini pakistani ringraziano), che tradisce ancora una volta l’ingiustificato approccio emergenziale delle istituzioni -stiamo infatti parlando di nemmeno 800 persone su un territorio di 340mila abitanti (poco sopra lo 0,2%)-. Resta il punto: queste relazioni sono state redatte? Con quali pezze giustificative? Chi ha verificato per conto della Prefettura che i “servizi erogati” fossero effettivamente quelli dichiarati e quindi coerenti con le linee guida previste dall’appalto di febbraio?

Se a pretendere queste risposte fossero, insieme a noi, i Comuni del territorio, gli operatori, i volontari, i singoli e chi in questi mesi si è speso a riguardo, la “fase 1” potrebbe (finalmente) volgere alla conclusione senza ulteriori zone d’ombra.

Qui Lecco Libera