CONOSCERE PER CAPIRE:
LA STRUGGENTE STORIA
DI YUSUPHEJATTA

IMG_0095LECCO – La permanenza di un numero sempre maggiore di migranti nel lecchese sta determinando l’incontro tra due realtà differenti, le quali spesso faticano a comprendersi e omologarsi. Per dissolvere queste incomprensioni oggi vi proponiamo la storia di un ragazzo che ha trovato asilo presso il Ferrhotel di Lecco, con l’intento di conoscere la sua storia per comprendere quello che ha passato chi ora si trova rifugiato nel nostro paese. Yusuphejatta ha 27 anni, anche se alla prima domanda circa la sua età all’anagrafe ha timidamente finto di averne 23; ha tanta voglia di chiacchierare e racconta senza problemi cosa lo ha spinto fino qui.

Il suo viaggio iniziò nel 2011, quando aveva 23 anni e giocava come calciatore in Gambia. La sua era una vita serena fino a quando il partito UDP, legato al partito socialista, opposizione più popolare nel Gambia, decise di boicottare la presa di potere del partito APRC ed il suo governo capeggiato dal totalitario presidente Yahya Jammeh. A questi si oppose anche Yusuphejatta, ma il governo APRC instaurò una politica di persecuzioni ed arresti per gli oppositori e anche lui venne incarcerato per 4 giorni.

Una volta uscito di prigione, dovette tornare ogni tre giorni in questura per i controlli di rito. Le persecuzioni si protraevano senza fine, così che Yusuphejatta venne invitato da un amico poliziotto a lasciare il paese in cerca di migliore fortuna. Iniziò così il suo viaggio alla ricerca di un futuro migliore. Solo. Da solo alla ricerca di sé e del proprio futuro. Non sarà un viaggio semplice né rapido, e affronterà molte peripezie lungo il cammino.

Dal Gambia raggiunse il Mali, dove rimase stanziato per un paio di mesi, cercando la fortuna in qualche generoso passante o nei lavoretti saltuari. Dopo il Mali passò altri due mesi in Nigeria e decise quindi di raggiungere la Libia. In una settimana di viaggio raggiunse la Libia, terra di fuoco dilaniata dalle insurrezioni popolari contro il governo di Gheddafi e dall’intervento delle potenze straniere. “L’aria era irrespirabile e la tensione palpabile”, racconta Yusuphejatta. “Sono stato seduto al freddo di uno scantinato per settimane con il timore di essere catturato e ucciso” racconta, descrivendo poi le varie situazioni dalle quali ha dovuto venirne a capo con le sue sole forze.

In Libia, spiega Yusuphejatta “il tempo stesso era pericoloso, avevamo paura anche di cercare qualcosa da mangiare. Stavamo zitti e seduti. I libici pensano che i neri siano animali e ce lo sentivamo dire in continuazione. Ho passato una settimana in ospedale in Libia, perché mio fratello (non di sangue) era stato colpito in una sommossa, così l’ho sostenuto al ricovero”. Dopo l’ospedale ha trovato ospitalità in una famiglia, che gli ha proposto un lavoro per mantenersi e continuare il suo viaggio.

Si presentò l’indomani in cantiere, dove il boss lo minacciò con un’arma, inducendolo a scegliere tra una prestazione sessuale o la morte. La minaccia e la molestia sessuale scampata – “God helped me” – lo spinsero a scappare di nuovo. Dopo un periodo nascosto in una casa con altri rifugiati, con il timore di essere scoperti, durante il quale furono costretti a sentire pianti, odore di macerie, bombardamenti e con la paura alla regia delle loro vite, vennero scoperti e reclusi per cinque mesi in una prigione libica.

La prigione è pericolosa. La paura era il sentimento più comune. Le condizioni igienico-sanitarie pessime e il trattamento non certo dei migliori, spiega. “Si mangiava solo una volta in giorno, alle 6 di mattina. E poi si dovevano aspettare le 6 della mattina successiva”. Solo una via era disponibile per lasciare la prigione: la corruzione. Per 500 dollari Yusuphejatta riuscì a lasciare il carcere. Lavorò poi a casa di un poliziotto che stava restaurando la sua abitazione, per restituirgli i 500 dollari di cauzione.

Giunse infine a Tripoli, dove lavorò come carpentiere per farsi dimettere dal carcere locale, dove venne rinchiuso per 3 mesi. Una volta uscito, cercò di raggiungere l’Italia, come molti altri, per mare. La via era costosa e pericolosa, ma ormai giunto fin lì quella sarebbe stata la sua unica scappatoia. Intraprese un viaggio a bordo di un barcone fino a Lampedusa, dove giunse l’8 gennaio e nel giro di 3 giorni arrivò a Lecco.

Quella di Yusuphejatta è una storia lunga e difficile, ma purtroppo il futuro che lo aspetta non sarà da meno.

 

Martina Panzeri