DARE UN NOME ALLE EMOZIONI:
LA MANCANZA DI PAROLE,
UNA DIFFICOLTÀ DIFFUSA
TRA BAMBINI E ADOLESCENTI

L’aumento esponenziale, in età evolutiva, delle diagnosi di disturbo da deficit di attenzione e iperattività e di disturbi caratterizzati dall’incapacità di controllare gli impulsi, testimonia una difficoltà diffusa da parte di bambini e giovani nel riuscire ad esprimere con parole proprie le loro emozioni e stati affettivi. La capacità di dare un nome ai propri vissuti emotivi permette infatti di modularli e di non venirne sopraffatti.
Per questo motivo, oltre al ruolo svolto dai genitori ed eventualmente dallo psicologo, è molto importante quello svolto dall’educazione scolastica, su cui ci si soffermerà in queste righe, nel promuovere lo sviluppo del linguaggio e la capacità di trovare o disporre delle parole necessarie per comunicare i propri vissuti. Senza questa capacità le nuove generazioni corrono il rischio di scaricare l’emozione in un’azione impulsiva e spesso distruttiva, che si manifesta nelle condotte aggressive e violente tristemente riferite dai quotidiani.

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La scuola e l’educazione emotiva: miti, fiabe e temi scritti
L’educazione scolastica, e in particolare la letteratura ed il tema scritto, possono favorire il passaggio da un piano impulsivo, dove l’espressione è affidata ai gesti, ad uno simbolico, dove l’espressione è affidata alle parole.

Risultati immagini per Umberto GalimbertiSecondo Umberto Galimberti, noto filosofo e psicologo analista junghiano, il piano simbolico permette ai giovani di avere una “risonanza emotiva” dei gesti che compiono, e quindi, ad esempio, di differenziare tra il corteggiare una ragazza e lo stupro, tra l’essere arrabbiati con un professore ed il picchiare, tra la tristezza ed il suicidio. La letteratura può trasmettere, infatti, un’educazione dei sentimenti, assumendo quella funzione che nell’antichità veniva svolta dai miti e che, ancora oggi, viene svolta in età infantile dalle fiabe. I personaggi di queste narrazioni incarnano i sentimenti e rappresentano le dinamiche umane. Nella mitologia greca Zeus simboleggia il potere, Afrodite la sessualità, Dioniso la follia. Nelle fiabe la fata può rappresentare una madre amorosa, la strega il modo minaccioso con cui il bambino percepisce la madre quando è arrabbiata, le sorellastre di Cenerentola l’invidia. Tale educazione può consentire di comprendere e nominare ciò che si vive a livello emotivo, per così dire “di pancia”, e quindi di verbalizzare sia le emozioni negative che positive.

Per quanto riguarda il tema scritto, ora sempre meno proposto nelle scuole, è fondamentale ricordare la sua funzione espressiva, che permette allo studente di organizzare e comunicare le proprie emozioni, i propri pensieri e sentimenti. Il diminuito utilizzo del tema, purtroppo, rispecchia i tempi correnti, orientati sempre più a una valutazione prevalentemente oggettiva, che, proprio in quanto tale, non dà spazio alla soggettività specifica di ogni alunno.

Oltre alla difficoltà nel comunicare e modulare le emozioni, un vocabolario povero di parole può corrispondere ad un vocabolario psicologico impoverito, in altri termini un analfabetismo linguistico corre il rischio di tradursi in un analfabetismo emotivo. Non possedere la parole per esprimere qualcosa può ripercuotersi infatti negativamente sulla capacità di capire cosa si sta provando. Un esempio di ciò sono le nuove forme di disagio giovanile caratterizzate da vissuti di vuoto, da un vago senso di malessere, dall’idea di “avere qualcosa che non va”. In tutte queste situazioni, si potrebbe ipotizzare che il giovane, non avendo parole sufficienti, sperimenti le emozioni in modo indefinito e non differenziato, non riuscendo ad avere consapevolezza sulle possibili cause della propria sofferenza.

L’impatto del mondo digitale sull’espressione delle emozioni: le emoticon
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A questo riguardo è difficile non menzionare il mondo digitale, che con la sua immediatezza e semplificazione dei messaggi riduce drammaticamente le sfumature e la complessità delle emozioni. Un esempio che coinvolge tutti sono le emoticon o faccine, con cui sempre più abitualmente si comunica sui dispositivi elettronici. Esse da una parte riducono le mille sfaccettature con cui un’emozione può essere descritta in un testo letterario, dall’altra comprimono in un modello preconfezionato, uguale per tutti, le differenze con cui le emozioni si esprimono sul volto di ognuno. A tal proposito basti pensare alle molte pagine che un romanziere può dedicare alla descrizione della tristezza sperimentata dal protagonista del suo romanzo e confrontarle con i due caratteri 🙁 con cui le emoticon esprimono tale emozione.

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Raccontare le emozioni: fondamentale per l’identità individuale
Infine la difficoltà ad articolare in parole i propri vissuti emotivi riduce la possibilità di narrare le proprie esperienze, sempre impregnate di emozioni, e quindi di elaborare e costruire la propria storia, elemento fondamentale per la definizione dell’identità di ognuno. La memoria storica ha infatti una funzione integrativa, e se viene a mancare la possibilità di ricordare e raccontare la propria storia, come avviene in molte malattie legate alla vecchiaia, si perde la possibilità di sapere chi si è, e quindi di avere un’identità.

La complessità dell’argomento non si può chiaramente esaurire nelle poche righe qui dedicategli, che hanno come unico obiettivo quello di fornire al lettore un possibile spunto di riflessione.

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Dott. Giacomo F. Stefanoni
psicologo iscritto all’Ordine degli psicologi
della Lombardia N.19855
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silvia panzeri psicologa
Dott.ssa Silvia Panzeri
psicologa iscritta all’Ordine degli psicologi
della Lombardia N. 20462