IMMIGRAZIONE/”BASTA PROCESSI,
CAUSE NELLA GLOBALIZZAZIONE”.
L’OPINIONE DI GERMANO BOSISIO

germano bosisioLECCO – Si parla tanto e molto spesso in termini speculativi delle povertà, di migranti, razzismo e insicurezza. Non solo le cronache ma anche nella cultura dominante (il cosiddetto mainstream) alimentata dai media, soprattutto televisivi, si assiste ad un vero e proprio bombardamento di notizie e commenti più o meno autorevoli.

E non passa giorno che “eminenti” opinion leader, specialmente politici, non si sentano in obbligo di elargirci pubblicamente valutazioni varie e spesso contrastanti tra loro, ma quasi sempre legate da un comune sentire: quello delle proprie convenienze ideologiche e/o particolari.

Assistiamo a interminabili dibattiti infarciti spesso da contumelie ed epiteti. Tutti rivendicano di essere espressione delle genuine esigenze dei propri popoli. Ma tutti, o quasi, fingono di non considerare le cause alla base di queste situazioni critiche come, ad esempio, dei grandi fenomeni migratori che sempre più stanno caratterizzando le nostre società globalizzate.

Solo pochi, spesso inascoltati perché non appetibili dal cosiddetto circo mediatico – contemporaneamente  causa ed effetto della cultura dominante – hanno il coraggio di denunciare l’enorme problema che, in modo preponderante, è alla base di queste gravissime realtà: gli squilibri strutturali, ormai non più sopportabili, prodotti da questo sistema economico e sociale.

Per ogni normale persona di buon senso, che voglia realmente interrogarsi sulla genesi e sui possibili rimedi  a situazioni anomale come queste sotto le costante luce dei riflettori mediatici, risulterebbe incomprensibile pur solo ipotizzare delle soluzioni senza analizzare e rendersi realmente conto della loro cause, perlomeno di quelle maggiori. 

Invece nei “processi” mediatici quasi mai la ricerca delle effettive cause è considerata dirimente. E così ci si perde in stucchevoli quanto ciniche distinzioni tra migranti di guerra, economici, climatici ecc. ecc.

Ma gli enormi squilibri economici e sociali prodotti dalle inique leggi del cosiddetto mercato globalizzato (inque le definisce Papa Francesco, uno dei pochi a denunciarle apertamente) non sono quasi mai prese seriamente in considerazione.

Un sistema dove la “dittatura speculativa” di una finanza disumana getta milioni di persone nella precarietà assoluta, dove il lavoro è considerato una semplice componente economica e la competitività diventa l’alibi ai peggiori arretramenti sociali ed economici, dove la precarietà è eretta a sistema, dove i rapporti tra Paesi ricchi e quelli poveri è regolato da leggi commerciali in modo clamorosamente vantaggioso per i primi e dove i secondi vengono continuamente saccheggiati delle loro materie prime anche, e spesso purtroppo, con il consenso delle loro classi dirigenti, dove le guerre rappresentano un crudele e cinico alibi all’industria delle armi e sono strumento di ipocrita vessazione geopolitica.

Dalla consapevolezza che tutto ciò grava giornalmente sulle nostre vite dovrebbe scaturire perlomeno una diversa considerazione dei grandi flussi migratori, al di là che debbano essere intelligentemente e solidarmente governati e gradualmente autoridotti in ragione di politiche riequilibratrici.

Ne dovrebbe derivare una coscienza della necessità di  un’alleanza tra le vittime di questo sistema inumano, al di là di ogni provenienza o diversità, e non invece l’alimentare le “guerre tra poveri” e  oppressi da questo sistema, con grande soddisfazione di chi lo regge.

Ad esempio il prelevare risorse da chi ne ha di più – come anche recuperarle dalla lotta a disonestà, corruzione e sprechi – per avviare concreti percorsi occupazionali sia per indigeni che “stranieri”, sembra ormai essere una tappa non più procrastinabile, pena il caos sociale.

E se qualcuno sostiene che sia giusto “aiutare i migranti a casa loro” questo non rimanga un puro slogan autoassolutorio ma si concretizzi realmente a partire dal togliere le “manacce” di un sistema economico sbilanciato sugli interessi dei più ricchi, dalla sistematica predazione delle loro risorse.

La consapevolezza di tutto questo non elimina la  responsabilità dei singoli comportamenti che devono essere sempre ispirati dal connubio diritti e doveri e relative sanzioni in caso di non rispetto.

Che questo debba avvenire senza alcun riferimento al colore della pelle o quant’altre differenze, è il discrimine che qualifica la civiltà di un popolo rispetto alla barbarie.

Solo rimuovendo le cause che producono ingiustizia e precarietà (e non invece mettendo l’una contro l’altra le vittime) attraverso un percorso concreto di riequilibrio pur graduale, ma di un non più rinviabile inizio, si potrà incidere su questi fenomeni planetari e le loro inevitabili ricadute sulla vita di ognuno.

L’alternativa non può che essere l’abisso!

Germano Bosisio