ISIS, PRIMAVERE ARABE
SIRIA, LIBIA E MEDITERRANEO.
AGLI ESPERTI FARE CHIAREZZA

migrazioni les cultures sala ticozzi 2LECCO – Migrazione, terrorismo e instabilità della situazione internazionale sono temi ormai centrali per i media, il dibattito politico e il senso comune. Al fiume di emozioni che spesso portano con sé, non sempre corrisponde l’approfondimento e la chiarezza necessaria che argomenti così cruciali per la nostra epoca invece richiederebbero. Per far fronte a questa esigenza di chiarificazione Les Cultures ha promosso un ciclo di due incontri “per generare conoscenza e dibattito sull’origine e le ragioni della migrazione, sulla storia politica dei Paesi di provenienza, sulla problematica stessa dei richiedenti asilo e sulla struttura dell’accoglienza in Italia” nella convinzione che i sempre più diffusi fenomeni di intolleranza siano in gran parte riconducibili ad una profonda disinformazione.

Conoscere per capire: le origini della migrazioni” è stato lo snodo affrontato nella prima della due serate in sala Ticozzi, con l’obiettivo di fare luce su alcuni dei contesti che originano flussi migratori verso l’Europa, in particolare Siria e Libia. Il primo ad intervenire tra gli esperti invitati è stato Matteo Colombo dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) che ha cominciato con l’illustrare pochi e semplici dati, che soli rendono perfettamente la drammaticità della situazione siriana: la popolazione del paese prima del 2011 si attestava attorno ai 22 milioni di persone, di questi oggi più di quattro milioni sono rifugiati all’esterno della nazione mentre circa sette milioni e mezzo sono gli sfollati interni. “Sono dati impressionanti – spiega il ricercatore – esito di una guerra che divide in maniera drammatica le città. La Siria è un paese molto complicato: gli arabi sunniti sono circa il 60%, ma non sono l’etnia che possiede il vero potere politico, detenuto invece dal gruppo degli alauiti, a cui appartiene Assad, che rappresentano circa l’11% e dal ’66 hanno questa forte influenza. Il 9% è costituito dalle minoranze cristiane, a cui va aggiunti il 5% dei curdi e infine moltissime altre religioni e etnie. Si tratta di un Paese multietnico, ad oggi caratterizzato da una divisione confessionale etnica tra curdi e arabi molto forte che fino al 2009 non c’era. Anzi ad Assad era legata la grande speranza di una “primavera di Damasco” che però dal 2011 inizia ad assumere una retorica settaria, che facilita l’entrata nel paese di al-Qaeda e di Is il quale all’inizio si presenta come promotore della rivoluzione, per poi prendere possesso del territorio con la violenza.

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Al momento la Siria si trova divida in tre zone di influenza: una controllata da Assad, sostenuto dalle milizie siriane regolari, dalle milizie sciite supportate dall’Iran e dalle milizie cristiane e palestinesi che vedono in lui il ‘male minore’. Un’altra zona è controllata dai ribelli grazie ad un ‘esercito libero siriano’ nato nel 2011 per proteggere le persone che si ribellavano, in nome di uno stato civile e decisamente opposto al regime dittatoriale di Assad. Circa la metà del Paese è in mano a gruppi islamici riconducibili all’Isis. A complicare ancora di più questa delicata situazione è il fatto che la guerra in Siria si inserisce in uno scontro regionale più ampio che vede coinvolti: Arabia Saudita (sostenuta da Stati Uniti), Turchia (che ha forti interessi in Siria) e Iran”. Questa è una fine seppur breve e riassuntiva analisi geopolitica, che sta però alla base di una delle crisi umanitarie più gravi della storia, non dissimile per molti versi dalla situazione libica, di cui ha parlato Luca Ciabarri, antropologo dell’Università Statale di Milano.

“Anche questa sera abbiamo sentito dire che siamo in presenza di flussi migratori epocali di estrema drammaticità ma – si domanda il ricercatore – in che senso? Gli arrivi via mare in Italia (e in Grecia) sono stati 170.000 nel 2014, nel 2015 150 mila fino a settembre. La dimensione del fenomeno è totalmente cambiata rispetto alle poche decine di sbarchi all’anno registrati fino a non moltissimo tempo fa. Questa crisi migratoria è legata a due conflitti: quello siriano e quello libico e alla concomitante crisi dei sistemi di contenimento. L’Unione Europea ha fatto moltissimo fin dall’inizio degli anni ‘90 nella direzione di cercare di impedire gli arrivi. Questi tentativi sono ora falliti. Per quanto riguarda i siriani sfollati nei paesi limitrofi per sei fondamentali ragioni spiegate in una relazione dell’alto commissariato delle nazioni unite: mancanza della speranza, alti costi della vita e incremento della povertà, opportunità di sostentamento calanti, aiuto umanitario insufficiente, difficoltà di rinnovare i permessi di residenza, opportunità limitate di educazione.

Per la Libia è un po’ diverso. Negli anni Duemila una delle politiche migratorie più incisive della Ue era l’esternalizzazione delle frontiere, consistente nella stipula di accordi con paesi extra-europei volti a contrastare il passaggio delle persone, che avevano portato ad una chiusura del Mediterraneo. Questo sistema è entrato in crisi con le primavere arabe e con la guerra in Libia. Questo paese si è consolidato nei decenni come un enorme mercato di lavoro basato sull’economia petrolifera, come un luogo di destinazione dei migranti africani sia per motivi economici sia per chi scappava dalle guerre che imperversano nei paesi subsahariani. Dal 2013 c’è stato un aggravamento e una disarticolazione di questo mercato del lavoro a cui hanno fatto seguito una serie di espulsioni delle persone che stavano in Libia, in parte verso i paesi europei ma in buona misura anche verso i paesi africani. Questo fenomeno trova le sue origini all’inizio degli anni ‘90, ma tuttora noi non sappiamo molto dei paesi di origine di questi flussi migratori provenienti dal nord Africa, perché il tema è sempre stato affrontato secondo le logiche della politica interna. È da segnalare infine che gli sbarchi non hanno mai rappresentato un aumento della percentuale di immigrati o di clandestini”.

les cultures migranti dicembre 2015A concludere la panoramica è Umberto Profazio, autore del libro “Lo Stato Islamico. Origine e sviluppi” (edizioni eMuse). Il giovane studioso comincia con le buone notizie: “Secondo il Global Terrorism Index il numero di attentati in occidenti è infinitamente minore rispetto a quelli in Africa e Medioriente e l’Isis non è il gruppo terroristico che ha fatto più vittime nel 2014, ma lo è Boko Haram”. Per capire di cosa stiamo parlando Profazio ha cercato di ripercorrere la breve ma travolgente storia dello stato islamico. “Nel 2003-4 gli Stati Uniti invadono l’Iraq, creando le premesse per l’afflusso nel paese di al-Qaeda. Dal 2007 si assiste a quella che sembra una stabilizzazione interna dell’Iraq, ma è stata solo un’illusione: nel 2014 il numero di vittime civili tocca i massimi storici.” Il ricercatore individua la ragione della crisi nella gestione autoritaria del primo ministro Nuri al-Maliki “il quale è stato fautore di uno scontro settario che ha portato alla realizzazione nel 2013 del primo attentato rivendicato dallo stato islamico. Quest’ultimo non è l’unico attore in Iraq: ci sono tante milizie sunnite che però si sono coalizzate con l’Isis per cacciare al-Maliki. Gli Sciiti invece si sono coalizzati col primo ministro, supportati secondo alcuni dall’Iran. A partire da questo momento lo stato islamico si è caratterizzato dalla progressiva espansione in Nord Africa e Medioriente, accompagnati da un forte incremento del fenomeno dei foreign fighters. Ora l’IS ha una struttura ben centralizzata – a differenza di al-Qaeda – e ben organizzata: emiri, comitati per accoglienza di foreign fighters, comitati per finanziamenti. La ragione di questa inarrestabile avanzata? La disillusione dell’esperienza della primavera araba. L’Isis nasce dove la primavera araba è morta. Dal punto di vista politico è fondamentale la stabilizzazione interna e la democratizzazione di questi paesi”.

Per citare Chiara Zappa, la giornalista che ha moderato la conferenza, “è stata una serata provvidenziale”, che ci ha permesso di interrogarci, di farci delle domande, “e questo è un punto di partenza importante, a patto che siamo onesti nel farlo, senza pre-comprensioni, senza accontentarci di riposte semplici fatte di slogan che non possono fare fronte a realtà così complesse e contraddittorie”.

Un’occasione di conoscenza e approfondimento che proseguirà con un secondo appuntamento, giovedì 10 dicembre, quando a prendere la parola saranno testimoni di esperienze positive di integrazione, a dimostrazione di come operano le diverse entità, organizzazioni e associazioni del territorio attive in questo senso.

 

Manuela Valsecchi