CALOLZIOCORTE – Nella serata di mercoledì 29, al Monastero del Lavello, il professor Franco Cardini ha presentato la sua ultima opera “Gaza, nulla sarà come prima“.
L’autore è stato introdotto dal referente per la Lombardia dell’associazione Identità Europea, Luigi Pedrone, che ha evidenziato la complessità nel parlare del conflitto in atto in Medio Oriente: “Purtroppo la comunicazione sull’argomento – ha dichiarato – è molto limitata, è complicato analizzare gli aspetti che contribuiscono a dare un’idea precisa della situazione”.
“Il libro – ha concluso Pedrone – offre una visione d’insieme mettendo in luce anche aspetti di solito taciuti; oltre ad un’analisi della genesi della crisi mediorientale, contiene anche scritti di esponenti della cultura ebraica in dissidio con il governo Netanyahu”.
Cardini, medievista e tra i massimi studiosi del periodo delle Crociate, ha evidenziato le difficoltà nello scrivere un’opera sull’attualità: “Purtroppo queste opere, a differenza di quelle relative ad argomenti storici, invecchiano immediatamente e risentono dell’alternanza tra periodi di stagnazione e di grandi sconvolgimenti come quello attuale”.
Il professore ha dunque esplicato un paradosso in merito alla fruizione delle informazioni, che ha ritrovato in merito al conflitto israelo-palestinese: “Il paradosso, di cui siamo complici, vittime e insieme responsabili, è la difficoltà a informarci e aggiornarci rapidamente, anche a causa delle notizie in tempo reale. Ad esempio, durante i tumultuosi anni ’30, una notizia ci metteva qualche giorno per arrivare da altri continenti ed essere presentata al pubblico. Al giorno d’oggi, le notizie in tempo reale ci nuocciono parlando del passato, perché rendono difficile valutarlo attentamente e contestualizzarlo”.
Riguardo la genesi del libro, Cardini ha spiegato che è nato come un diario settimanale sul suo blog, tra fine 2024 e inizio 2025, correlato da un saggio di Siegmund Ginzberg, ebreo studioso del sionismo, dal titolo “Israele, la guerra, la Bibbia: ma la pace è una strada obbligata pure per il Dio degli eserciti”: “Nel saggio, Ginzberg porta a ragionare sul fatto che nella Bibbia come nel Corano non è presente nessuna ragione divina per legittimare la guerra, e che la giustificazione del conflitto usando i passi che nei due libri sacri richiamano alla guerra è un esercizio vuoto ed errato”.
Un altro errore da non fare, secondo l’accademico, è quello di “pensare che la Storia sia solamente un susseguirsi di guerre e dinastie reali, semplificando e riducendo così la realtà; oltre a queste cose, la Storia è composta da strutture, istituzioni e una miriade di cause, che fanno a pugni con la nostra volontà, seppur idealmente corretta, di cercare delle responsabilità precise”. L’approccio che permette una maggiore comprensione dovrebbe includere “lo studio e l’analisi di quella che è diventata una società globale, aggiornandosi sull’evoluzione dei processi come quello che sta avvenendo a Gaza”.
Per Cardini, questo approccio è però attuabile da un numero ristretto di persone a livello globale: “La capacità di giudizio è ristretta poiché molte persone nel mondo hanno limitazioni socioeconomiche: è però attivo il mezzo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che giudica gli avvenimenti nel mondo in base alle segnalazioni dei componenti del consiglio con un sistema democratico”.
“Scelti con gli esiti della Seconda guerra mondiale – ha aggiunto – i membri permanenti del consiglio, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti, con la successiva aggiunta della Cina, non hanno nemmeno bisogno di giustificarsi per decisioni o per veti: nel caso delle vicende di Gaza, hanno avuto libertà di porre veti e gestire la situazione economica, ad esempio lasciando mano libera allo sfruttamento delle multinazionali come quelle delle armi; le difficoltà sono giunte alla nostra attenzione quando ormai erano già diventate intollerabili”.
E proprio il ruolo delle multinazionali e delle imprese in una città ormai rasa al suolo come Gaza sarà da monitorare: “Le nostre imprese hanno già mostrato interesse verso Gaza, a partire dal lavoro di sterro di una città che non esiste più, sulle cui ceneri ne sorgerà un’altra; ma abitata da chi? I palestinesi che non sono morti, ora sono in condizioni disperate o rifugiati in altri paesi. Ci sarà poi l’effettiva possibilità di rientro degli abitanti?”.
Su questo punto, Cardini ricorda che “il presidente statunitense Donald Trump ha già chiesto ai governi arabi più vicini, Giordania ed Egitto, di accoglierli nei loro confini; in passato, i due paesi hanno già accolto esuli palestinesi, che nonostante i massacri sono poi andati a comporre quasi il 60% della popolazione giordana. Accoglierne altri porterebbe instabilità all’area, alleata degli Stati Uniti ma allo stesso tempo delle monarchie del golfo, un tempo fortemente criticate da re Abdullah“.
La certezza è che il conflitto ha modificato radicalmente il territorio controllato da Israele, che tramite l’azione dei coloni ha sostanzialmente preso possesso delle sacche palestinesi. Quindi, che fine farà la striscia di Gaza? Per Cardini, “un futuro stato libero palestinese è già compromesso dai coloni ebrei che unilateralmente sono stati immessi; l’area potrebbe rimanere senza governo o essere affidata ad un gruppo ristretto di palestinesi, alle Nazioni Unite o addirittura in amministrazione temporanea agli Stati Uniti. L’unico a sostenere realmente la politica dei “due popoli, due stati” è Papa Francesco, ma lo Stato Palestinese non ha più né un popolo né uno stato”.
L’opzione più singolare è quella della Grande Israele: “Questa rischierebbe però di mettere in crisi gli stati circostanti a livello economico ma soprattutto culturale, diventando una potenza ancora maggiore ed innescando una grande rivoluzione”.
Le preoccupazioni dunque restano, e non resta che osservare l’evoluzione di uno scenario che fornisce spunti di riflessione non solo dal 7 ottobre.
Michele Carenini