Da pensionato oggionese seguo da lontano l’intricata faccenda dell’area ex Leuci, ma non posso dimenticare quanto si era profuso non solo come lavoratori ma anche come società civile nel tentativo, purtroppo infruttuoso, di assicurare un degno futuro a quella centralissima porzione della città di Lecco, sia in termini occupazionali che a plurima valenza pubblica.
Quello che allora da lavoratori e cittadini avevamo per primi definito come il “Sistema Lecco” non aveva saputo ne voluto cogliere quella particolarissima occasione, promossa dal basso, di concreta riconversione virtuosa da vari punti di vista.
Ora, ormai da “esterno”, mi auguro che lo stesso “Sistema Lecco” non fornisca, per l’ennesima volta, il fianco ad aspetti immobiliari speculativi, da sempre da noi evidenziati come uno dei principali moventi dell’operazione di chiusura della nostra fabbrica, e sappia realmente coniugare il termine “rigenerazione urbana” con l’effettivo interesse pubblico.
Allegando in merito un mio/nostro antesignano e più che mai valido contributo di pensiero risalente al 2009 (quindi di ben 16 anni fa), mi auguro che la Cittadinanza più avvertita dei lecchesi vigili su tutta l’operazione in atto.
Germano Bosisio
LETTERA DAL MONDO DEL LAVORO
I mezzi ed i fini: Quali i valori di riferimento?
Siamo lavoratori della Leuci di Lecco, una delle fabbriche più importanti rimaste nel nostro territorio, che sta vivendo, come è noto, uno dei momenti più delicati della propria pluriennale storia.
Con questa lettera-denuncia non ci preme tanto informare ulteriormente sulla nostra intricata situazione, già vari strumenti e contesti lo stanno facendo, quanto esprimere pubblicamente alcune riflessioni e sollevare qualche interrogativo che possa aprire uno spazio di confronto su alcune questioni di carattere più generale che però inficiano quotidianamente le nostre vite a partire da quella lavorativa.
Speriamo che ci sarà concesso uno spazio adeguato anche se spesso sulla stampa sia locale che nazionale vengono ospitati solo interventi e contributi dei presunti “addetti ai lavori”, di opinion-makers, cioè di chi si ritiene possa essere titolato ed elargire concetti o analisi autorevoli.
Speriamo che questo non voglia dire escludere chi, da persona comune e quindi da non “specialista”, cerca di mantenere un proprio senso critico sulle questioni importanti che ci ruotano attorno.
La domanda di fondo che ci poniamo e poniamo a tutti è: Quali sono oggi i valori di riferimento nel vasto mondo del lavoro? Quali i principi ed i fattori reali che contano? Qual’è la mentalità “normale” che si respira?
Prendiamo spunto da un articolo comparso sulla stampa locale qualche tempo fa che parlando della nostra situazione citava letteralmente: “ … È la spietata legge della globalizzazione. Là in Africa e nell’Europa, costa tutto molto meno e se la qualità è garantita perché non andarci? I conti devono tornare… La nuova proprietà non è lecchese, e guarda prima di tutto ai suoi interessi, come biasimarla? Se non sarà più conveniente produrre qui, se ne andrà, semplice e scontato, Lecco perderà un’altra sua pietra miliare della sua era industriale, e lì che ci faranno? Resterà produttiva?
il sindaco Antonella Faggi apre anche ad altre soluzioni …”.
Ci chiediamo: è normale tutto questo? È veramente così ineluttabile e soprattutto veramente non biasimevole visto che la nostra azienda è si in sofferenza ma sarebbe tutt’altro che destinata a spegnersi, solo che lo si volesse realmente?
Ritorniamo col pensiero alla nostra Costituzione che abbiamo da poco difeso da una smaniosa voglia di presunta modernità e da un libricino per studenti universitari leggiamo: “Art.1: L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro“; nelle note alla voce lavoro c’è scritto: “valore fondamentale che qualifica la forma di Stato e che impone il perseguimento di una politica di difesa sociale attraverso la promozione e la tutela di ogni attività lavorativa“; come nell’introduzione al titolo III che regola i rapporti economici si legge: “…I rapporti di lavoro e di produzione non sono stati dal costituente abbandonati al libero gioco del mercato, in quanto la Costituzione impone allo Stato di assicurare il rispetto della libertà, della sicurezza e della dignità umana e la piena realizzazione del diritto al lavoro“.
“Art.35: la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni…”
“Art.41: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale od in modo di recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana…”; nelle note troviamo:
“Utilità sociale: ogni attività privata, sebbene finalizzata al perseguimento di un profitto personale, non può identificarsi con l’interesse esclusivo dell’imprenditore, ma deve realizzare, seppure indirettamente, interessi della società nel suo complesso. Nel disegno del legislatore costituente, lo sviluppo economico non è un fine, ma un mezzo per la realizzazione dei valori fondamentali della persona e dei doveri di solidarietà sociale.“
“Art.42: La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.“; nelle note si legge: “Funzione sociale: Il diritto di proprietà deve soddisfare contestualmente l’interesse individuale del suo titolare e l’interesse della collettività, con il quale l’esercizio del diritto potrebbe entrare in conflitto, in tal caso fra l’interesse privato e quello sociale, è quest’ultimo a prevalere.”
In definitiva ne conseguirebbe, sia per la norma che per lo spirito della nostra Costituzione, che occorre ricordarlo sempre, è la Magna Charta della nostra convivenza civile, che l’imprenditoria è legittimata pienamente non unicamente “pro-domo sua“ (interesse privato) ma in quanto anche finalizzata a scopi sociali (posti di lavoro).
Perciò se l’imprenditore prescindesse dai fini sociali, non sarebbe più legittimato socialmente anzi, se fosse solo mosso da intenzioni speculative particolari (ad esempio lo “sfruttamento“ di marchi produttivi italiani per commercializzare sostanzialmente prodotti d’importazione oppure “svuotare” aziende per fare business immobiliare sulle aree dimesse… ecc., ecc…) finirebbe col diventare un vero e proprio “parassita sociale” e quindi andrebbe, Costituzione alla mano, contrastato sia dallo Stato che dalla Società Civile (compreso il mondo dell’informazione).
Coerentemente nessun uomo o donna delle Istituzioni dovrebbe “fare da sponda” a simili ipotesi ma semmai scoraggiarle apertamente proprio in ragione dello specifico ruolo statuale.
Così pure per la Chiesa in ragione della propria costante Dottrina Sociale. Dall’ Enciclica “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II (p.12 dell’Introduzione : Priorità del Lavoro): …si deve prima di tutto ricordare un principio sempre insegnato dalla Chiesa. Questo è il principio della priorità del “lavoro” nei confronti del “capitale”… “.
Anche un Sindacato che, magari inconsciamente o per eccesso di senso di realismo, finisse con l’assuefarsi a svolgere in sostanza solo una funzione lenitiva o di gestione della riduzione del danno, rischierebbe di snaturare la propria funzione sociale.
Altra cosa sarebbe di un imprenditore che s’impegnasse realmente a fondo, anche e soprattutto in un contesto difficile di mercato, a coniugare giuste esigenze di profitto con l’altrettanto irrinunciabile funzione sociale d’impresa (dare posti di lavoro). A quest’ultimo non potrebbe non andare la stima e la riconoscenza di tutti.
Purtroppo però sempre più spesso stiamo assistendo ad uno stravolgimento dei valori fondanti non solo del mondo del lavoro ma anche della nostra convivenza civile che vede la Persona essere sempre più ridotta al servizio della cosiddetta economia di mercato piuttosto che il contrario, come dovrebbe essere in un normale sistema sociale che ponga realmente “al centro” l’Uomo.
L’aspetto particolarmente grave è che tutto questo “scivola via” sotto silenzio, anzi spesso è considerato normale, scontato, ci si è fatta l’abitudine quasi che fosse ineluttabile.
È vero la penuria, se non addirittura l’assenza, di strumenti normativi e contrattuali (alla Politica ed al Sindacato dare risposte tutelative concrete) rende enormemente complicato l’opporsi a questa cultura della massimizzazione dei profitti anche a scapito dell’Uomo, con l’aggravante di un sistema legislativo che sostanzialmente pone pochissimi argini a comportamenti antisociali.
Ma è proprio così vero che non si possa concretamente andare oltre la riduzione del danno ricorrendo in sostanza ai soli cosiddetti ammortizzatori sociali, pur a volte necessari?
Perché non sarebbe invece possibile, Costituzione e Dottrina Sociale della Chiesa alla mano, costruire una virtuosa convergenza d’azione, un vero e proprio “cordone sociale” protettivo, per scoraggiare questi eventuali comportamenti speculativi che pretestuosamente pretenderebbero di trovare giustificazione nell’“assolutismo economico”???
Ad ognuno di noi contribuire a costruire risposte concrete in altrettanto concrete situazioni!!!
Lecco, ottobre 2009
I Lavoratori della Leuci di Lecco