CATANZARO (CZ) – Dalla Calabria a Lecco rimangono saldi i rapporti tra criminalità organizzata. Una nuova operazione della DDA, con ben 52 sospetti ‘ndranghetisti fermati questa mattina dai militari in tutta Italia, conferma per l’ennesima volta la presenza stabile e consolidata della criminalità organizzata nel nostro territorio. Nella lista degli indagati diffusa dalla Procura figurano, per quanto riguarda il lecchese, i nomi di Beniamino Bianco di Oggiono, ex funzionario di Silea, Danilo Monti e Claudio Gentile, entrambi coinvolti nell’operazione Cardine-Metal Money, e Giuseppina Trovato.
Questa mattina, nella provincia di Catanzaro e nel territorio nazionale, i Carabinieri del Comando Provinciale di Catanzaro con il supporto di oltre 400 uomini della Legione Calabria e dei comandi territorialmente competenti, dei Carabinieri “Cacciatori” di Calabria, del Nucleo Cinofili e dell’8° Nucleo Elicotteri di Vibo Valentia, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, nei confronti di 52 soggetti (38 in carcere, 6 ai domiciliari e 8 dell’obbligo di presentazione alla P.G. di cui 5 anche con l’obbligo di dimora), ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico mafioso, detenzione e porto abusivo di armi, traffico di stupefacenti, estorsione e intestazione fittizia di beni.
L’attività, convenzionalmente denominata “Karpanthos” (dal nome attribuito, in antichità, alla città di Petronà), condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Catanzaro, ha consentito di intervenire nell’area della presila catanzarese, ai confini con la provincia di Crotone, dimostrando l’esistenza e l’attuale operatività di un sodalizio di ‘ndrangheta operante nei territori di Petronà e Cerva, avente stabili ramificazioni nelle province di Lecco, Genova e Torino; nonché, di un’organizzazione dedita a un fiorente spaccio di sostanze stupefacenti, operante sul medesimo territorio, di cui fanno parte alcuni affiliati.
Le investigazioni si sono sviluppate attraverso un’imponente attività di tipo tradizionale, consistente in attività tecniche, escussione di persone informate sui fatti, servizi di OCP sul territorio, riscontri “sul campo”, con una parallela attività di acquisizione e analisi di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, corroborate dai relativi riscontri e la cui attendibilità è stata già riconosciuta in precedenti sentenze, oltre all’acquisizione di plurime emergenze di altri procedimenti penali.
Nel dettaglio, l’indagine ha permesso di documentare l’esistenza della cosca di ‘ndrangheta “Carpino” di Petronà, coinvolta negli anni duemila in una sanguinosa faida, operante nella presila catanzarese e con ramificazioni in Liguria e Lombardia, nonché dell’alleato gruppo criminale di Cerva, detto dei Cervesi, con estensioni in Piemonte e Lombardia, entrambi ora ricadenti sotto l’influenza del locale di Mesoraca (KR), dediti principalmente alle estorsioni in danno degli imprenditori edili e dei commercianti della presila catanzarese attuate mediante incendi e danneggiamenti, alle rapine a mano armata, al riciclaggio e all’intestazione fittizia di beni, al traffico di cocaina e marijuana con differenti canali di approvvigionamento, riconducibili comunque a soggetti operanti nei territori di Cutro o Mesoraca.
Inoltre, l’attività investigativa ha fatto emergere lo scambio elettorale politico–mafioso e l’influenza del gruppo criminale di Cerva sulla locale amministrazione comunale in occasione delle elezioni del 2017, mediante il procacciamento di voti per alcuni degli indagati – all’epoca candidati ed eletti in quella tornata, poi riconfermati nelle consultazioni del 2022 – in cambio della promessa di denaro e di una percentuale sugli appalti pubblici.
È altresì emersa la possibilità della cosca di Petronà di avere a disposizione entrature nella pubblica amministrazione. Nel caso di specie, un dipendente dell’Agenzia delle Entrate aveva messo la propria funzione a disposizione di un affiliato, manifestando la propria disponibilità a ricevere dei falsi, riguardanti proprietà di quest’ultimo, per evitare che costui incorresse in sanzioni o che dovesse pagare l’IMU e ottenendo, in cambio la promessa di favori di varia natura.