“SULLA MIA PELLE”, IL FILM
SUGLI ULTIMI GIORNI DI CUCCHI
DOMANI SERA IN CITTÀ

LECCO – Spazio Teatro Invito e Associazione DinamoCulturale sono liete di presentare l’evento di pre-apertura per la seconda edizione di CineMinimo: Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, Italia, 2018, 100’. L’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi, arrestato la sera del 15 ottobre 2009 dai carabinieri perché trovato in possesso di droga. Il giorno dopo viene processato per direttissima, e mostra già difficoltà nel camminare e nel parlare ed evidenti ematomi sul volto. Dopo l’udienza le sue condizioni peggiorano ulteriormente, fino alla morte avvenuta il 22 ottobre.

Il film d’apertura della sezione Orizzonti della 75ª Mostra del cinema di Venezia verrà proiettato da Dinamo Culturale martedì sera alle 21 al Teatro Invito di Lecco (via Ugo Foscolo 42), in collaborazione con Camere penali di Lecco e Como e Innominate Vie. Per l’occasione è previsto un contributo audio di Rossana Noris, vicepresidente dell’associazione Stefano Cucchi Onlus.

“Sulla mia pelle”: una somma di concause e di irresponsabilità che rende l’idea di un sacrificio spaventoso: ucciso da un apparato che usa la compartimentazione come scappatoia dai propri errori. “Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte” diceva De André. E fu questo il caso di Cucchi, che sarebbe ancora vivo, però, se dopo le botte non fosse finito in una palude del diritto e dell’indifferenza.

Non è stato un martirio, è stato un abbandono, come Alessio Cremonini racconta con mirabile, insperata lucidità: un fatto dopo l’altro, una decisione dopo l’altra, di richiesta negata in richiesta negata (non solo a Cucchi ma anche alla sua famiglia impotente e forse rassegnata), di silenzio in silenzio, senza nascondere la colpevolezza del condannato o sfumare l’accanimento criminale delle istituzioni.

Alessandro Borghi – l’attore protagonista – lavora di nervi, di parole stiracchiate, di posture contratte, asseconda il tono esplicito eppure asciutto del film: nulla che sfugga alle inquadrature calibrate, al montaggio serrato ma non frenetico, alla costruzione di un evitabilissimo avvicinamento alla morte. Non ci sono accuse, né redenzioni o emozioni posticce: solo la traccia di un percorso e dei segni su un corpo che nessuno ha saputo eliminare, e che ora restano nella memoria come una condanna collettiva.