TEATRO/L’UTOPIA DEL MONDO EQUO
SECONDO ARISTOFANE/FERRINI

DIO-PLUTO-web-04LECCO – Vi piacerebbe diventare Paperon de’ Paperoni? Se siete onesti, questo è possibile. Purché il dio del denaro, che finora ha agito alla cieca, possa riacquistare la vista: quando vi vedrà, riconoscerà i vostri meriti e vi darà quanto vi spetta! Non è uno spot elettorale, ma una commedia che ha più di duemila anni, sortita dal genio di Aristofane e, grazie a quella potenza che è solo dei Classici, il sogno nato nell’Atene del IV secolo a.C. può parlarci dei nostri guai contemporanei. A guidare questo dialogo fra i secoli è il regista e attore Jurij Ferrini, che ha presentato ieri al Cenacolo di Lecco Dio Pluto, sua personale riscrittura dell’opera del grande Padre della risata comica antica (Pluto, 388 a.C.): qualche sforbiciata al testo originale, ma soprattutto innesti ben calibrati di riferimenti all’oggi, attraverso quegli interstizi che permettono l’osmosi antico-presente.

DIO-PLUTO-web-12Seguiamo la trama. Aristofane affida un caso straordinario a un Ateniese povero e onesto, di nome Crèmilo. Egli ha ricevuto uno strano suggerimento dal dio, che nella rivisitazione di Ferrini diventa parodicamente il “Gran Maestro della Loggia Orientale”, con allusione evidente a chi sempre più spesso si affida all’esoterismo nella speranza di risolvere le proprie sorti. Il dio raccomanda di seguire la prima persona incontrata per via. Caso vuole che sia uno straccione cieco, ed ecco il primo paradosso: i ciechi di solito vanno guidati, e invece qui sono Crèmilo (Ferrini) e il suo servo (Federico Palumeri) a seguirlo… Scoprono la sua vera identità: egli è nientemeno che Pluto (Francesco Gargiulo), cioè il dio della ricchezza, accecato da una combutta di filibustieri, subito riconoscibili dalle sigle, FMI, BCE, Banca Mondiale… Reso cieco, Pluto può essere manipolato e prodigare guadagni ai disonesti che profittano delle fluttuazioni di Borsa.

Il buon Crèmilo fiuta l’importanza della sua scoperta e riesce a portarsi a casa Pluto, a rincuorarlo e a motivarlo: la ricchezza è più potente degli dèi stessi, tutto ruota intorno al denaro, dai lavori più umili fino alle guerre. «Tu sei responsabile di beni e mali. Di te non se ne ha mai abbastanza», gli dice con voce suadente, promettendogli di aiutarlo a recuperare la vista, così potrà rendere il mondo migliore, assegnando finalmente ricchezza e prosperità solo agli onesti. Questo progetto utopico di distribuzione meritocratica dei quattrini è l’improvvisazione buffa e maldestra di brave persone che desiderano la fine dei soprusi, e Ferrini scocca una frecciata maliziosa anche contro le utopie politiche di cui si sono nutriti in tanti, per esempio quando il servo incita contadini e operai alla “lotta proletaria”.

DIO-PLUTO-web-10C’è però già chi rompe le uova nel paniere. Fa il suo ingresso solenne e un po’ ridicolo una strana figura, che si presenta come “Madonna Povertà”, di dantesca memoria (Rebecca Rossetti), e invita Crèmilo a una discussione quasi filosofica. Quest’ultimo muove dall’evidenza: tutti vorrebbero un mondo migliore, in cui gli onesti siano fortunati e invece disonesti, evasori e politici corrotti vadano in malora. Invece, secondo Povertà questo è facile populismo. Inizia così un’esilarante lezione di economia, che magnifica i lati positivi di una vita frugale, con il necessario ma non il superfluo. È questa la condizione che incita ad aguzzare l’ingegno ela creatività, mentre al contrario la piena prosperità induce a mollezza, pigrizia e rapace egoismo, come accade fra i politici: quando sono poveri, guardano al bene della comunità, e appena in possesso di una poltrona sicura, cominciano l’arraffa-arraffa, e l’esempio è quello di un certo Formigònide che alle orecchie lecchesi risulta stranamente familiare… Le argomentazioni di Povertà non convincono di certo il nostro Crèmilo. Infatti, di fronte alla minacciadi un mondo di “onesti-ricchi” nel quale nessuno più lavorerà, la replica di padrone e servo è la stessa del Sordi nei Vitelloni (1953) di Fellini.

DIO-PLUTO-web-07La seconda parte della commedia si ravviva con alcune scenette gustose. In primis, il racconto surreale della guarigione di Pluto, grazie a un certo Asculepio, esperto in medicina olistica, assistito da due Vestali dai nomi di Panacea e Olgettina (fra i suoi pazienti c’è anche il guercio Carminàtide, che non riceverà però la grazia). Pluto invece riacquista la vista e arriva alla casa di Crèmilo in un bagno di folla in delirio e selfie. Finalmente si apre l’epoca della ricchezza equamente ripartita, in un mondo alla rovescia, un Paese di Cuccagna: il Faccendiere, che aiutava gli uni e gli altri a ungere il sistema e «ad applicare le leggi con scioltezza», è giustamente in rovina, ma ecco apparire anche i primi segni negativi, di una moralità sovvertita: domina l’egoismo, perché nessuno più fa doni al prossimo né agli dèi, come rivelano ad esempio il povero e affamato Hermes (Andrea Peròn) e una vecchina agghindata, sola e triste perché il suo giovane mantenuto, ora ricco, la rifiuta e le getta addosso il suo disprezzo.

La scena finale è un’aggiunta di Ferrini: in agguato c’è il terribile mostro dell’inflazione, «che si nutre di uguaglianza, pace e prosperità». E mentre Pluto si pente di aver riacquistato la vista, Povertà benda gli occhi a tutti e lo spettacolo si conclude sulle note di El pueblo unido jamàs sera vencido (rielaborazione rock dei 99Posse), mentre il gruppo, poco convinto, marcia verso l’ennesima rivoluzione: bruciare soldi e banche, in nome del “pueblo”. Per la serie: le utopie colorate di populismo non finiscono mai…

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Bravi gli attori, impegnati in più ruoli e un plauso particolare va alla Rossetti, che è una solenne e severa Povertà, ma anche moglie svampita di Crèmilo e tenera vecchina tradita. Lo scheletro della commedia antica è ben riconoscibile e merito della regia moderna è portare il pubblico a ridere ragionando sul presente. La scenografia presenta una colonna centrale e cuscini sparsi che imitano le forme di rovine e marmi, parodia voluta di uno scenario antico: il sogno di un mondo alla rovescia è come un ammortizzatore, a tratti irriverente, su cui planare con un sorriso e dimenticare, almeno per un poco, le cadute e le spigolosità della vita reale. E tutto grazie alla fantasia del grande Aristofane.

Gilda Tentorio

Foto dal sito del Teatro Carcano