TELERISCALDAMENTO, MAGNI:
“NON FACCIAMOCI ILLUSIONI,
PRIVATIZZERANNO PURE QUESTO”

LECCO – Chi abbia assistito alla seduta del Consiglio Comunale di Lecco, nella serata del 2 ottobre ne sarà uscito con una certa impressione di cambiamento in merito all”affare” teleriscaldamento. Qualcosa è cambiato. Probabilmente in peggio. E non c’è alcuna illusione da farsi. Innanzitutto l’obiettivo del teleriscaldamento continua ad essere mantenuto. E quindi c’è piena continuità. Con i progetti passati.

Dall’altra parte si conferma che bruciare i rifiuti è in sé una tecnologia a termine. E infatti a ridosso del 2030 il termovalorizzatore chiuderà. Terzo è venuta meno a livello nazionale e regionale , soprattutto, l’idea che il termovalorizzatore dovesse servire un territorio a supporto della sua autosufficienza (ovvero si brucia eventualmente quello che si produce in termini di rifiuti di un territorio). Siccome in Lombardia e in Emilia la raccolta differenziata ha creato sottoutilizzazione degli impianti, gli stessi organi amministrativi delle regioni per “massimizzare” le risorse (per non chiudere gli impianti o razionalizzarli = un inceneritore per più territori) acquistano rifiuti da ogni dove. Insomma il nostro termovalorizzatore, chiamiamolo più semplicemente inceneritore, raccoglie rifiuti non solo dal lecchese (dati di realtà) ma dovunque (potenzialità) solo perché non si vuole ammettere l’errore bipartisan, d’averlo potenziato, scioccamente, nel 2007.

Si dice, poi (e questa dovrebbe essere la novità molto al buio) che dal momento della sua “chiusura” o dismissione dovrà in ogni caso continuare a funzionare, continuando a produrre teleriscaldamento con fonti non fossili. Infine, ed è l’ultima novità, Silea, non avrebbe più voce in capitolo perché la termo combustione non fossile (ben che vada a biomasse) verrà attuata da un privato che ne dimostri la convenienza e sostenibilità economico e ambientale.

Intanto avanti così. A tutta birra. Con i rifiuti comprati per ogni dove. Ma letto in filigrana (il progetto di convenzione) con gli altri comuni di Malgrate e Valmadrera lascia intravedere una dismissione di responsabilità diretta nella gestione del problema risparmio energetico o coproduzione di energia e calore. Insomma ci troviamo di fronte all’ennesima privatizzazione, con un notevole passo indietro del pubblico. E non si capisce il perché se poi si dice che il progetto è fortemente remunerativo (come si vorrebbe dare ad intendere). Perché se così fosse (remunerabilità facile) la privatizzazione (un tipo di privatizzazione molto particolare) sarebbe molto palese. Certo sarebbe più “semplice” permettere ai privati, ma anche al pubblico forme di sperimentazione nelle coproduzione di riscaldamento ed energia, ma tant’è.

È impensabile che il pubblico sperimenti una forma di autoproduzione decentrata, così come è impensabile che la produca il privato. Tutti si allaccino a una sola rete. Evviva il monopolio. Privato per altro. Insomma il modello che viene avanti potrebbe vedere una polarizzazione nell’uso delle fonti rinnovabili (solare battuto da biomasse) (al di là di ogni ragionamento di costi/benefici) e in ogni caso una ulteriore cessione di autonomia del pubblico a favore del business privato “concentrato”, insomma la polarizzazione oltre che essere sull’uso delle fonti – imposte a tutto il pubblico – avverrebbe tra una realtà di concentrazione produttiva e una di decentramento produttivo. Insomma avremmo una autoproduzione sempre da un centro privato di grandi dimensioni contro un’autoproduzione decentrata (casa per casa) a scapito delle realtà innovative in termini di risparmio energetico (consumi zero) nelle nostre abitazioni e soprattutto negli edifici pubblici.

Questo danno c’è anche a prescindere da un ipotetica uguale sostenibilità ambientale in termini di emissioni (misurabili in quintali o tonnellate) di CO2. Insomma il pubblico non può scegliere. Deve allacciarsi e non ha altra possibilità. Così dice la convenzione. Ipse dixit. E agli altri mal gliene colga.

 

Alessandro Magni