LA MEDAGLIA ATTESA DA UNA VITA. STORIA DI CARLO LIMONTA, INTERNATO MILITARE

LIMONTALECCO – Turni di 12 ore con una sola mezz’ora di interruzione per cibarsi con una zuppa di rape. Per due lunghi anni, dal 1943 al 1945 Carlo Limonta, catturato dai tedeschi, è rimasto rinchiuso nei campi di concentramento nazisti, dove ha lavorato duramente. È l’unica persona ancora in vita che questa mattina è stata insignita della medaglia d’onore nella sala conferenze della Camera di Commercio. Lui però non c’era. Per motivi di salute i familiari hanno preferito non farlo affaticare e a ritirare l’onorificenza c’era la nipote, Eleonora che nel 2011 ha raccolto in uno scritto la testimonianza del nonno.

Nell’ambito del concorso “Percorsi nella memoria 2011” ha elaborato una tesina dal titolo “La vicenda degli internati militari italiani dopo l’8 settembre 1943 – L’esperienza di mio nonno Carlo (1924 – vivente).

SAMSUNG CSC“Come molti altri – spiega Eleonora – mio nonno era un cosiddetto “IMI”, internati militari italiani. I tedeschi li soprannominavano “soldati di Giuda o “soldati di Badoglio”, erano disprezzati e scherniti come traditori e fatti oggetto di ritorsioni dalla popolazione civile tedesca”.

Nato a Missaglia il 4 novembre 1924 oggi Carlo Limonta vive a Casatenovo. “Aveva solamente 19 anni quando è stato chiamato alle armi – racconta Eleonora -. Fu subito fatto prigioniero dai tedeschi e spedito a Torner in Germania nello Stalag XXA con il numero di matricola 46055. Da lì iniziò una sorta di pellegrinaggio da un lager all’altro con trasferimenti in Germania, Prussia e Polonia finchè il 28 gennaio 1945 fu liberato dai russi e riabbracciò i suoi cari nell’autunno di quell’anno”.

Durante la prigionia Carlo Limonta tenne un diario dove annotò ciò che di spaventoso gli stava succedendo. Tra le pagine dei suoi appunti c’è il racconto di uno dei trasferimenti da un lager all’altro:”Sono partito il giorno 14 alle ore 4 dopo mezzogiorno e sono arrivato al campo di concentramento il sabato di notte alle 2. Mi hanno dato due volte l’orzo macinato da mangiare, aveva un sapore che non si poteva mangiarlo tanto che era cattivo e una volta il pane che era più crudo che cotto e una volta tre cucchiai d’acqua nera detto da loro caffè”.

La storia di Carlo LimontaQuando poteva scriveva delle cartoline, cercando di sminuire la sua condizione:”Carissimi Genitori vengo da voi con questa mia cartolina per farvi sapere che la mia salute è ottima come pure spero anche di voi”.

Carlo Limonta nel suo diario raccontava anche che il suo guardiano “tutti i giorni ci fa la rivista e se ci trova qualcosa in tasca sono bastonate con un nervo che era un piacere per la guardia”.

Ma non è tutto: Eleonora ricorda un particolare aneddoto che il nonno le ha svelato e che l’ha colpita:”una volta ha provato a rubare delle patate. Spinto dalla fame è riuscito ad allontanarsi dal campo di concentramento e quando i soldati tedeschi hanno trovato il suo bottino lo hanno buttato nella latrina davanti ai suoi occhi e lo hanno deriso. Fortunatamente non sono andati oltre”.

Tornando a oggi e alla medaglia che ha ricevuto, la nipote ha affermato che nonno Carlo, anche se non è potuto venire a ritirarla, è fiero e contento di questo riconoscimento perché dice che per molto tempo nessuno ha pensato agli internati militari, è come se la loro vicenda fosse stata dimenticata, invece anche loro hanno sofferto molto.

Elena Pescucci