VIAGGIO AL FERRHOTEL/1:
115 PERSONE, NON CLANDESTINI

profughi ferrhotelLECCO – Arrivando a piedi, lungo il passaggio di via Ferriera, il Ferrhotel è subito riconoscibile. Perché fuori dall’accesso principale, ma dentro il cortile, si possono trovare alcuni giovani di colore. E si capisce subito che i profughi – o i “clandestini” come vengono definiti erroneamente da alcuni – sono lì dentro.

Il più grande centro di accoglienza della città di Lecco si trova dietro il centro commerciale Meridiana e di fronte all’uscita di via Balicco. Ora è la dimora di 115 richiedenti asilo politico. “Qui sono tutti in attesa di sapere se la propria domanda sarà accolta” spiega Stefano Palladino, vicepresidente di Progetto Itaca e direttore di servizi che segue personalmente la gestione degli ospiti nell’istituto.

I profughi arrivano da varie zone di Africa e Asia: sono quasi tutti uomini dai 18 ai 35 anni provenienti da Nigeria, Niger, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Gambia, Ghana, Mali e Bangladesh. Alcuni scappano dalla guerra, dagli attentati di Boko Haram, da persecuzioni religiose, mentre altri cercano di sfuggire alla miseria, senza magari sapere nemmeno dove si trovavano una volta sbarcati in Italia. Perché coloro che si trovano ospiti del Ferrhotel sono provenienti da viaggi estenuanti attraverso il Mediterraneo, anche percorrendo le foreste dell’Africa centrale e il Sahara. Oppure arrivando sui camion dall’Est Europa. “Molti di loro vengono caricati sui barconi con la promessa di un posto sicuro, ma non sanno che arrivano in Italia – sottolinea Palladino –. Spesso non vogliono nemmeno rimanere qua. Anzi, tornerebbero volentieri in patria se non avessero problemi”.

I 115 ospiti della struttura di via Ferriera sono tutti in attesa di ricevere risposta alla richiesta di asilo politico che hanno fatto una volta entrati in Italia. “Sono tutti identificati, possiedono un documento rilasciato dalla Questura e sono rintracciabili sul territorio europeo. Una volta superati i confini nazionali sono clandestini. Ma lo sono per un’ora al massimo, perché poi vengono schedati e sono quindi in regola”. Ecco perché a questo punto del percorso non si può parlare di queste persone come “clandestini”, come anticipato qualche riga sopra.

In ogni caso i richiedenti asilo politico rimangono in Italia per qualche mese. “Fino a quando verranno valutati dalla Commissione territoriale, che nel nostro caso si trova a Milano – prosegue Palladino -. Probabilmente la maggior parte di loro avrà il diniego, ma più che altro perché è difficile dimostrare davvero la sostenibilità della propria storia. Dobbiamo pensare che spesso chi arriva scappa da villaggi molto arretrati, simili ai documentari che si vedono in televisione. Non tutti arrivano dalle grandi città”.

Proprio per questo diversi italiani si lamentano dell’avanzata tecnologia dei profughi. “Noi non forniamo telefoni cellulari – racconta l’operatore –, quelli che hanno se li comprano loro. Per comunicare con i propri affetti hanno diritto, una volta in Italia, a una ricarica telefonica da 15, poi devono arrangiarsi”. I giovani possiedono smartphone, con qualche graffio, non di ultima generazione. Per telefonare utilizzano Lycamobile, che ha tariffe internazionali molto convenienti. “Prossimamente cercheremo di installare una rete wireless – annuncia Palladino –, in queste condizioni comunicare con i familiari è fondamentale. Così Facebook e internet diventano importantissimi”.

F. L.