DITELO A SALA E AI MILANESI CHE LAMENTANO L’INQUINAMENTO DEI PENDOLARI…

LECCO – La maledetta tratta Tirano-Milano Centrale. Dopo il calvario estivo pieno di ritardi e mesi sacrificati su e giù dalle corriere tra Lecco e la Valtellina, causa  ammodernamento e sistemazione dell’infrastruttura, i pendolari speravano e pensavano di poter contare finalmente su orari certi.

E invece al pendolare di Trenord è riservato il retrogusto amarognolo delle promesse non mantenute. Le carrozze sono nuove, ma spesso hanno dei problemi. Come martedì 2 dicembre quando, a quanto pare, il “materiale rotabile” non sarebbe neppure uscito dal deposito, quindi non partito dalla Stazione Centrale di Milano. Di conseguenza a Tirano non si è mai visto, come ovviamente la corsa di ritorno.

Ci riferiamo al treno 2821, partenza da Lecco alle 11.01, cancellato. Pure quello successivo non sembrava in salute, se anche ci fosse stato avrebbe portato un ritardo di mezz’ora. Che si fa in queste occasioni? Beh, ci si dirige dritti dritti in biglietteria in cerca di rimborso.

Operazione semplice? Non proprio, allo sportello rimandano al sito on line di… Trenitalia, che poi in realtà sarà quello di Trenord.
“Non posso ottenere la restituzione qui?”
“No il modello da compilare è on line”.

Un po’ farraginoso, però va bene. Purtroppo c’è quel fastidioso diavoletto che si è presentato all’orecchio a insufflare: “TI prenderanno per sfinimento, visto il valore piccolo lascerai perdere”.

Il senso d’ingiustizia però fa incaponire, quindi procedi. Il percorso è a ostacoli, per nulla intuitivo, più simile a una piccola caccia al tesoro.

Nelle pagine on line dei rimborsi sembra di essere tornati indietro nel tempo. I riferimenti sono prevalentemente a biglietti cartacei. In più al paragrafo rimborso per “Per cause imputabili a Trenord”, viene chiesto che il disservizio sia fatto obbligatoriamente constatare al personale di Trenord

Ohi ohi: richiesta inutile all’epoca del tracciamento selvaggio e sfrenato, in cui quasi ogni nostra azione ha un numero identificativo, controllato e conservato nei computer, chiamiamoli pure server o cloud. Tanto più vero nel caso di biglietti digitali.

Non servirebbero constatazioni, né moduli, basterebbe esibire quel numero per ottenere il rimborso su due piedi.

E invece le pagine on line di procedura appaiono piuttosto creative e confuse, con quel loro sapore retrò in cui si fondono informazioni utili all’epoca dei biglietti solo cartacei con quelle degli immateriali. Il tutto con con confini incerti. Inoltre, latita il pratico e diretto link al famoso modulo, che va proprio cercato.

Però con una polliciata di back, seguita da uno scroll verso il basso si trovano due alternative, una per l’utente registrato a Trenord e l’altra per gli altri.

Pratichiamo la prima strada: l’acquisto è avvenuto tramite app nominativa, siamo quindi in una botte di ferro, giusto??? Ma non per Trenord – e la sola idea del rimborso risulta ancora lontana. L’app di acquisto è di Trenitalia e il fatto che tu sia pure utente Trenord conta poco. Quindi pur loggati al loro sito, il numero del biglietto non viene riconosciuto. Non resta che scaricare il famoso modulo in pdf, quattro pagine praticamente inutili perché con il numero del biglietto l’azienda sa bene trattarsi di un treno fantasma, di un disservizio loro.

Per fortuna si può inviare la richiesta via email o con la vecchia cara posta – oppure, se sei a un tiro di schioppo dalla stazione Cadorna oppure Garibaldi di Milano, ci vai di persona. Ma sei a Lecco.

Di rimborso immediato neanche parlarne, ci vogliono 30 giorni.

Allora mettiamola così:  tempo perso per il treno inesistente, non meno di un’ora tra spostamento andata e ritorno dalla stazione. Più quello impiegato a capire se c’era o meno l’opzione della corsa successiva. Poi altrettanta oretta per navigare nella nebbia informativa sui rimborsi e preparare il modulo, stamparlo, firmarlo se privi di firma digitale. Ma forse è meglio così, si sa mai proprio sulla firma digitale si inceppi qualcosa e di debba iniziare da capo…

Alla fine l’inefficienza viene fatta pagare e messa sulle spalle del consumatore, diciamo del lavoratore. Camicie di forza che utilizzano tempo-vita e tempo-lavoro tuoi. Un vizietto che in una economia occidentale avanzata non dovrebbe proprio esserci. Il costo del biglietto da restituire è di 5,20 euro. (Vi faremo sapere come va a finire).

Ditelo al sindaco di Milano Sala e ai suoi concittadini che mettono enormi ostacoli all’entrata di auto in città, contro l’inquinamento. Per arrivarci, nel capoluogo, non ci sono le metropolitane ogni pochi minuti che raramente si fermano, come capita a loro per i movimenti interni.

Per noi dei famosi territori ci sono i treni, però se devi essere sicura di arrivare nel posto a un orario certo, l’auto la devi usare per forza. Senza considerare che ZTL e parcheggi a prezzi folli sono ulteriori sbarre invisibili di una prigione. Scatole che stanno diventando sempre più strette.

Nadia Alessi