LECCO – Grande mobilitazione all’ospedale Manzoni di Lecco per una vicenda che ha scosso il personale sanitario e l’intera comunità. Il dottor Giuseppe “Beppe” Vertemati, chirurgo toracico stimato e primario della struttura, è stato escluso dalla direzione della Struttura Complessa di Chirurgia Toracica, classificandosi terzo al concorso dietro candidati più giovani, nonostante oltre vent’anni di professione e un’intera carriera a servizio della sanità pubblica.
Il concorso, indetto dopo la trasformazione del reparto in struttura complessa, ha visto la vittoria di Paolo Scanagatta, 51enne proveniente dall’ASST Valtellina e Alto Lario, con un punteggio di 85,020 contro i 78,459 di Vertemati. Una differenza che ha pesato non solo sul risultato, ma anche sulla possibilità di ricorso: il terzo posto, infatti, ha escluso il lecchese da ogni azione legale.
Le figlie di Vertemati, Elisa e Aurora, hanno voluto rendere pubblica la vicenda attraverso una lettera aperta, pubblicata sui social e diventata virale. Un testo che racconta anni di dedizione totale: “Papà, tu ti meriti tutto. Hai lasciato l’anima, il cuore, le forze all’Ospedale Manzoni. Le uniche persone che ti hanno davvero riconosciuto sono stati i tuoi pazienti, che dovrebbero contare più di chiunque altro”. Nella lettera, le figlie sottolineano la cura instancabile che Vertemati ha sempre messo nel proprio lavoro: la rinuncia a oltre 300 giorni di ferie arretrate, il lavoro anche durante una malattia e il rispetto per tutti i lavoratori dell’ospedale, con il saluto ogni mattina alle addette alle pulizie.
Lecco ha espresso tutta la sua solidarietà al primario: in ospedale sono comparsi volantini e cartelli che recitano “Beppe Vertemati per noi sei sempre il primo!”, mentre i social si sono riempiti con diverse migliaia di commenti e post con l’hashtag #iostoconvertemati; l’ex consigliere comunale e collega di Vertemati in ospedale, Ivano Donato, ha invece lanciato sui social la proposta di assegnare al medico il San Nicolò d’oro, la massima benemerenza civica della città.
“La meritocrazia, nella sanità come in tanti altri ambiti, spesso non funziona come dovrebbe”: è il messaggio delle figlie, che sottolineano come l’ospedale andrà a perdere un professionista che ha scelto di restare nel servizio pubblico, rinunciando a contratti d’oro nel privato.
“Tu non hai fallito niente. Hai vinto dove conta davvero: nel cuore delle persone”, concludono le figlie. Parole che racchiudono il senso di questa storia, più forte di qualsiasi graduatoria.
Michele Carenini
IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA:
La verità che nessun concorso potrà cancellare – Ospedale Manzoni
Papà o meglio Dr Vertemati, tu ti meriti tutto. Tutto quello che la vita avrebbe dovuto darti e che, a volte, questo sistema non è riuscito a riconoscerti.
Hai dedicato ogni giorno, ogni notte, ogni briciola di te all’Ospedale Manzoni. Ci hai lasciato l’anima, il cuore, le forze… e alla fine le uniche persone che ti hanno davvero riconosciuto sono state i tuoi pazienti. Loro, che in un mondo normale dovrebbero contare più di chiunque altro. Loro, che dovrebbero valere infinitamente più di chi ha ruoli decisionali senza conoscere fino in fondo cosa significhi davvero curare qualcuno.
E invece anche stavolta, proprio nell’unico momento in cui avrebbero potuto riconoscerti almeno sulla carta ciò che sei sempre stato, le cose non sono andate come avrebbero potuto. Ancora. È doloroso vedere come, in Italia, percorsi e carriere spesso dipendano da dinamiche che vanno oltre impegno, dedizione ed esperienza.
Fa male, fa rabbia pensare che persone con meno esperienza abbiano potuto valutarti. Fa male sapere che ti hanno messo terzo dietro candidati molto più giovani.
E perché proprio 3 e non 2?
È una scelta che ti ha tolto perfino la possibilità di fare ricorso, e questo pesa. Pesa perché non ti ha permesso di far valere ciò che hai costruito in tanti anni.
Fin dall’inizio ti sei trovato ostacolato da continui cavilli e interpretazioni delle regole che sembravano cercare un tuo punto debole. Non l’hanno trovato, e così hai dovuto affrontare un muro dopo l’altro, sperando che prima o poi si ricordassero chi sei davvero.
E io non avrei mai voluto arrivare a questo, non avrei mai voluto usare la voce come arma, ma mi sento costretta a farlo.
Spero che questo messaggio si diffonda, che arrivi alle persone che ti hanno conosciuto davvero: ai tuoi pazienti, alle loro famiglie, a chi ti deve la vita o un sorriso o una speranza. Perché loro sono la prova vivente di chi sei, del valore immenso che hai, del bene che hai fatto.
Io, Au, mamma e chi ti vuole bene sappiamo già tutto questo. Non abbiamo bisogno di titoli, di graduatorie, di riconoscimenti formali.
Ma voglio che il mondo sappia una cosa: che la meritocrazia, nella sanità come in tanti altri ambiti, spesso non funziona come dovrebbe.
E tu, papà, sei la dimostrazione di quanto sia difficile restare puliti, onesti e umani in un sistema che non sempre premia queste qualità.
Sai qual è l’immagine più forte che ho di te come medico?
Non quella in cui apri un torace mentre tieni tra le mani un cuore che cerchi di far ripartire.
Ma quella in cui ti fermi ogni singola volta a salutare le ragazze delle pulizie, con rispetto, con gentilezza. La stima sincera che hanno per te è la medaglia più preziosa che tu abbia mai ricevuto.
Da te ho imparato l’umiltà, il valore del non ostentare, del camminare a testa alta ma con il cuore basso e pulito. Tu che avresti potuto volare così in alto da lasciare tutti indietro… e invece sei rimasto dove c’era più bisogno di te.
Non ti sei mai allontanato dal servizio pubblico. Hai sempre scelto i più fragili, quelli che non possono permettersi cure costose, quelli che arrivano in pronto soccorso con la paura negli occhi e sperano solo di essere ascoltati. E tu li hai ascoltati tutti. Sempre.
Oggi l’Ospedale di Lecco perde un pilastro.
E allo stesso tempo mostra quanto sia difficile, per il sistema pubblico, valorizzare davvero chi dà la vita per esso.
Ma tu, papà, no.
Tu non hai fallito niente.
Tu hai vinto dove conta davvero: nel cuore delle persone.
