MIGRANTI/DOVE L’ACCOGLIENZA
È POSSIBILE. ARCOBALENO
OLGINATE E VALLE CAMONICA

LECCO – Dopo il successo della scorsales cultures (1) settimana, ieri sera il secondo incontro del ciclo “Umanità in cammino”. In sala Ticozzi questa volta si sono portati esempi di buone pratiche locali – o in contesti simili a quello lecchese – di gestione dell’immigrazione e si è discusso sulle prospettive future che il territorio dovrà affrontare nei mesi a venire.

A moderare il dibattito l’antropologo Andrea Staid, autore dell’etnografia “I dannati della metropoli” sugli immigrati a Milano, che per cominciare ha fatto un po’ di chiarezza su alcuni temi. “Distruggiamo il mito dell’emergenza: non si tratta di un’emergenza perché un’emergenza è qualcosa che può durare pochi mesi, mentre il fenomeno in questione dura da vent’anni. Un fenomeno di cui anche i numeri sono poco chiari: sono note le cifre relative ad un giorno preciso, ma mancano i numeri e le statistiche riferiti ad anni interi o a periodi più lunghi”. Dopo aver illustrato lo stato confusionale dell’arte, il ricercatore ha messo sul tavolo una questione altrettanto importante: “parliamo di globalizzazione. Si globalizzano e si spostano le merci da e per ogni dove, perché le persone non si possono spostare con questa libertà? E perché poi questo divieto attiene solo una parte del mondo: un italiano può spostarsi dove vuole, basta che abbia il denaro per farlo, mentre un africano non potrebbe nemmeno fare un visto da certi paesi per altri.” Concludendo Staid ricorda che “le nostre politiche degli ultimi vent’anni basate sulla non-accoglienza non hanno funzionato” ed è dunque necessario rivederle in maniera radicale.

Qualcosa che invece ha funzionato, pur non senza difficoltà, sono i modelli di accoglienza promossi da alcune realtà del nord Italia, che questa sera sono qui presentati. Il primo riguarda da vicino il nostro territorio e riguarda una realtà – la cooperativa Arcobaleno – che non è nata con la mission specifica di occuparsi di migrazione. “Ci siamo avvicinati al tema della protezione internazionale per rispondere al problema dei rifugiati che proprio per via della loro condizione rimanevano esclusi da alcuni diritti – spiega Roberto Castagna, uno dei responsabili – e il nostro lavoro si è focalizzato su una dimensione particolare: la dimensione territoriale. Abbiamo fatto la scelta di non aprire centri di accoglienza a 360° ovunque ci fosse una struttura e dei finanziamenti, ma di lavorare con un territorio perché l’accoglienza non è affare di un ente o di uno specialista ma di un intero territorio che deve farsene carico.”

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“Abbiamo voluto coordinarci con altri soggetti, 8 enti gestori diversi tra cooperative, associazioni e fondazioni, per aprire 16 strutture di accoglienza con un totale di 240 ospiti. È una rete che non è stata in grado di accogliere il flusso continuo degli ultimi due anni, ma che ha assunto una dimensione in grado di dare senso alla prospettiva dell’accoglienza e di fare incontrare le persone che arrivano in un territorio con le persone che lo vivono”. Castagna ha mostrato chiaramente come la collaborazione tra soggetti diversi, territorio e servizi, debba necessariamente collocarsi all’interno di un contesto più ampio: quello istituzionale. “Questa dimensione nel nostro territorio ha faticato a partire, perché il fenomeno ha fatto paura a tanti, ma resta un livello importante. La gestione dell’accoglienza non può essere una questione individuale e imprenditoriale di un privato ma deve essere la scelta di un territorio inserita in un’ottica programmatica e condivisa”.

Proprio come è successo in Vallecamonica quando nel 2011 si è dovuto far fronte alla crisi libica. Come spiega Silvia Turelli della Cooperativa K-Pax di Breno (BS) far fronte alla “prima emergenza migranti” a seguito della “nell’estate del 2011 oltre 100 persone sbarcate a Lampedusa sono state collocate a Montecampione a 1800 mt di altezza. Non avevano l’abbigliamento adatto, alcuni di loro ai piedi portavano solo i sandali, altri non avevano nemmeno idea di essere in Italia. Sono stati per oltre quattro mesi in un sito palesemente non idoneo, senza aver compilato la domanda di protezione internazionale, senza presidio medico. Le cooperative e altre realtà di volontariato hanno così iniziato ad interessarsene ed è nato il progetto di micro-accoglienza diffusa in Vallecamonica: 4 o 5 persone ospitate in appartamento, distribuiti tra i comuni, seguiti da operatori che potessero garantire i servizi minimi come l’insegnamento dell’italiano. I rifugiati si sono prestati a collaborare con i paesi che li hanno ospitati: lavoretti di giardinaggio, pulizia, sartoria. Così si sono poste le basi per una vera integrazione: gli abitanti del territorio hanno potuto conoscere questi ragazzi e le loro storie e non sono mai stati avvertiti come un peso per la comunità, bensì come una risorsa”.

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Lo stesso è avvenuto negli ultimi mesi a Olginate. Come racconta il sindaco Rocco Briganti “noi abbiamo accolto 15 persone in una ex-scuola elementare quest’estate, dopo che siamo stati interpellati dalla prefettura. Ho incontrato i miei concittadini in un’assemblea per spiegare loro cosa si sarebbe tentato di fare e inizialmente la diffidenza era tanta. A distanza di sei mesi si può dire che è stata la più grande opportunità di conoscenza che la comunità ha avuto in questi anni: abbiamo avuto modo di conoscere le storie drammatiche di questi ragazzi e i cittadini con le associazioni sono stati i primi a farsi carico delle loro esigenze. Ora sono stati spostati in un appartamento, e dopo che sono stati coinvolti per tutta l’estate in attività e lavoretti di pubblica utilità, fremono per poter lavorare per davvero”.

Ma Briganti parla anche in qualità di presidente dell’Associazione Sindaci della Provincia di Lecco e in questa veste insiste sulla necessità che le amministrazioni locali affrontino il tema con grande senso di responsabilità: “Io posso essere un cittadino che ha paura per la propria sicurezza, ma da sindaco non posso strumentalizzare questa paura per non accogliere le persone nel territorio. Dobbiamo maturare un senso di gestione della questione, perché non possiamo farci trascinare dagli eventi ma dobbiamo governare questo processo”. In questa direzione va il documento sottoscritto pochi giorni fa dalla maggior parte dei comuni della provincia di Lecco in accordo con la prefettura riguardo al coordinamento generalizzato di tutte le strutture. “Il 70/80 % dei sindaci ha votato il documento con il quale ci siamo presi l’impegno di individuare strutture per l’accoglienza nell’ambito di un progetto e di un coordinamento tra tutti gli enti del territorio. È un documento lungimirante che pone dei temi fondamentali come l’anagrafica, la tutela sanitaria e il lavoro”.

Insomma la strada da fare è parecchia ed è in salita, ma le testimonianze che l’associazione Les Cultures ha proposto alla città hanno evidenziato che gli strumenti ci sono e che l’accoglienza dei migranti può essere una grande opportunità per tutti, che va però gestita in collaborazione tra istituzioni, enti e cittadini, all’insegna del coordinamento e dell’informazione chiara.

 

Manuela Valsecchi