DON GIOVANNI MEDITA NELLA PRIMA DOMENICA DI AVVENTO

In questa prima domenica dell’anno liturgico, la meditazione corre alle “ultime cose”, la realtà definitiva che Matteo pone nel suo quinto ed ultimo discorso. 

Come leggiamo nel lungo brano evangelico i discepoli gustano con orgoglio le imponenti “costruzioni del tempio”, ma Gesù non li asseconda suscitando le loro domande, poi, “sedutosi” (nel gesto dell’insegnare) gela i loro entusiasmi con il predire: “Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta”. 

La sacralità postesilica del tempio dava la convinzione che senza di esso – luogo dell’incontro con Dio – nulla avrebbe più avuto senso, neanche lo stesso uomo, che lo trovava proprio in quel rapporto. Senza tempio sarebbe dovuto dunque cessare il mondo stesso. Ecco il motivo delle domande degli apostoli circa il quando e l’annuncio nei “segni”. 

L’insegnamento del Signore Gesù indica effimera anche la sacralità del tempio e 

– come già aveva predetto nell’invio dei discepoli (“come pecore tra lupi”) – richiama, a forti tinte, difficoltà e persecuzioni che dovranno affrontare – sono infatti i connotati stessi della missione, che qui prendono carattere escatologico, non senza però l’affermazione che richiama fiducia nella diffusione del vangelo che, alla fine, sarà diffuso nel mondo intero (“Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo”). 

Gesù, come viene qui descritto, si ferma molto al tema della grande tribolazione richiamando Daniele con l’antica profanazione del tempio di Antioco, mentre Matteo pare descrivere invece la distruzione fatta dai Romani, ma, “chi legge intenda”, c’è invito a chi ascolta (o meglio legge) riferire tutto al cammino cristiano con la prova della fede. 

Se vogliamo, il grande tema è qui “la venuta del “Figlio dell’uomo” (ἡ παρουσία τοῦ υἱοῦ τοῦ ἀνθρώπου) dove si usa un termine diremmo tecnico, parusia, che, negli scritti ebraici, indicava la visita del sovrano e – nel Nuovo Testamento – sempre si riferisce alla venuta di Cristo nella gloria finale. 

Il senso generale di tutto questo discorso, non è metterci o addirittura tenerci in allarme, perché, se è pur vero che – la venuta improvvisa, sorprendente, visibile universalmente – sarà terrificante, lo solo per gli empi. La nostra pagina vuole piuttosto evitare una prematura ed eccessiva eccitazione per la grandiosa parusia, la venuta del Signore profeticamente annunciata. 

È bene poi anche riflettere e pensare al venire del Signore, non tanto solo come ad un evento lontano nel tempo e risolutivo dell’attesa (del “vegliare” cristiano), ma anche come a qualcosa che ci scorre accanto, quasi in modo parallelo al nostro cammino d’adesso, fin già dalla Pentecoste, dunque a una realtà vissuta nella speranza certa e serena di un ricongiungerci nell’amore.

 

Don Giovanni Milani