La liturgia del Natale del Signore Gesù, il Figlio di Dio e di Maria, conosce ben quattro celebrazioni: della Vigilia, della Notte, dell’Aurora e del Giorno, leggiamo il testo evangelico di quest’ultima che è tolto dal secondo capitolo del Vangelo di Luca. L’evangelista, non senza qualche significativa ampollosità, colloca il suo racconto nella storia, la storia profana che menziona la vastità dell’impero e il suo capo Augusto, forse con sottile richiamo a quella pace che proprio da questo fanciullo avrebbe avuto senso diverso e nuovo dalla “pax romana”; è proprio in quella collocazione che nasce Gesù.Non riusciamo bene a capire i particolari di quella vicenda che chiama da Nazareth a Betlemme Giuseppe con la sua sposa Maria in quelle condizioni particolari, ma intendiamo bene come Luca voglia sottolineare la regalità del luogo e della discendenza che si sta trasmettendo al nascituro; così si mostra in adempimento anche la profezia di Michea “E tu Betlemme di Efrata… da te uscirà colui che sarà capo d’Israele”.Luca già aveva narrato la nascita di Giovanni nell’attesa festosa di tutta una comunità, qui invece notiamo un vivo contrasto “perché per loro non c’era posto nell’alloggio”: lontananza da casa, provvisorietà disarmante. Poi si dirà molto del luogo, stalla, grotta; qui ben poco, leggiamo invece la semplicità dei gesti, tutti della madre Maria: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”.
L’autonomia di Maria nel parto e nell’accudire da sola il piccolo Gesù, pare allusione al parto indolore della sua verginità (quella vivamente richiamata con tre stelle, su spalle e fronte di Maria, nella tradizione delle icone).Ma quella quasi solitaria desolazione è subito riscossa dai pastori, gente umile (le sottolineature del terzo vangelo si posano sempre su semplici e poveri) sollecitata nientemeno che dall’angelo; all’annuncio del quale “la gloria del Signore li avvolse di luce”.Sono i pastori, gente semplice e non certo socialmente apprezzata, a loro è fatto il primo annuncio che li lascia esterrefatti, ma sono incoraggiati dall’annuncio gioioso, diretto prima a loro, poi “sarà di tutto il popolo: oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”.Il segno è solo di semplicità ma di vita “un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia”.
Semplicità quasi misera eppure segno per i pastori e cantata da “una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama»”.Nella semplicità umile della mangiatoia di Betlemme è dato anche a noi “un Salvatore, che è Cristo Signore”, è dato alla nostra fede perché il Natale non sia ricorrenza festosa di evento lontano, ma accoglienza di senso, nel Signore, per questa nostra umanità tanto disorientata in questo nostro tempo di ferocia e indifferenza.
Don Giovanni Milani