“FENOMENO” FACEBOOK,
QUEL SUDICIUME VERBALE
PER UNA PACIFICA MARCIA

facebook odio haterLa parola comunicazione ha radici latine: deriva dal sostantivo munus, che riporta come significati fondamentali quelli di dono e incarico. I testi che produciamo per interagire quotidianamente col mondo sono perciò un bene prezioso che decidiamo di mettere a disposizione di altri (un dono) e contemporaneamente un bene che crea obblighi e responsabilità (un incarico). Solamente una comunicazione di questo tipo è premessa reale per la costruzione di una società civile e la condivisione di un impegno.

Stante un tale presupposto teorico, sorge spontaneo domandarsi come la semplice pubblicazione sui social network di un articolo riguardo una marcia pacifista possa dar luogo a un fenomeno sociolinguistico quantomai interessante: la proliferazione di uno sciame di commenti di eccelso livello retorico e lessicale. A salvaguardia del sacrosanto diritto d’opinione non si esamineranno i contenuti ascrivendoli a questa o quella fazione politica. Sarà sufficiente proporre un campione delle espressioni gergali rinvenute: sfigati, cazzo, paraculaggine, cazzeggiare, coglioni, rincoglioniti.

È mai possibile che quando si tratta di contrastare l’altrui opinione non si possa fare a meno di ricorrere a quella che – secondo un qualsivoglia canone educativo o addirittura etico – non possiamo evitare di definire volgarità? Un semplice suggerimento: la lingua italiana è estremamente ricca e conta più di 250mila vocaboli. Pertanto, prima di pigiare come ossessi sulla tastiera per mostrare valore ed ardimento nell’arena virtuale di Facebook, sfogliare un dizionario o persino un vocabolario dei sinonimi e contrari può rivelarsi un esercizio estremamente proficuo ed arricchente. Soprattutto, un esercizio liberante da un linguaggio programmaticamente orientato a volgarità e offese ingiustificate ed ingiustificabili.

Chi infatti ci ha investiti del diritto di insultare senza freni? Cosa origina il fango che gettiamo senza remore addosso a tutti quelli che individuiamo come parte avversa e quindi indegna di rispetto? Che cosa ci spinge a costruire una risposta non sulla base di ragionate argomentazioni ma di intollerabili allusioni sessuali?

Sia di sinistra o di destra, credente o ateo, donna o uomo, chi con arroganza rivendichi per sé il diritto di ridurre la comunicazione a sudiciume verbale persegue un unico scopo. Non la costruzione partecipata della comunità umana ma la distruzione – più o meno consapevole, si lasci il beneficio del dubbio – della premessa dell’umana convivenza: il riconoscimento della dignità dell’altro e il rispetto che ne consegue.

Ileana Noseda