La Conferenza Unificata non esaminerà oggi, 18 dicembre, il primo provvedimento conseguente alla legge montagna 131/2025, ovvero il decreto per i parametri che consentono la riclassificazione dei Comuni montani. Le Regioni, molte dell’Appennino e alcune delle Alpi, hanno chiesto un supplemento di analisi. Così da evitare che, mentre viene fatta uscire Roma dai Comuni parzialmente montani della precedente classificazione, entrino Reggio Calabria, o Cuneo, o Biella e resti Varazze. Evitiamo ogni demagogia, semplificazione, privilegiamo invece complessità, analisi, inclusione.
Uncem lo ripete da tempo. Sulla classificazione dei Comuni montani occorre evitare ogni scontro, frammentazione, divisione. Non possiamo permetterci rotture, difficoltà di dialogo, muri. Per questo Uncem dice da vent’anni che le classificazioni dei Comuni montani, con parametri uguali in tutto il Paese, non servono. Allora, come oggi. Evitiamo di dividere i territori, e i Sindaci. Concentriamoci sulle sfide e sulle opportunità vere.
Ma vediamo nel dettaglio a che punto siamo.
Uncem non è stata coinvolta (per volontà unilaterale ministeriale) dal Ministero degli Affari regionali e delle Autonomie nella Commissione che in un mese è mezzo è stata chiamata a elaborare le basi per i nuovi criteri ai sensi dell’articolo 2 della legge che, secondo il dossier di lettura, prevede:
L’articolo 2, commi da 1 a 3, reca le norme per la definizione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dei criteri per la classificazione dei comuni montani in base ai parametri altimetrico e della pendenza, nonché per la predisposizione di uno o più elenchi dei comuni montani. L’elenco sarà aggiornato dall’ISTAT, entro il 30 settembre di ogni anno (comma 1).
Nell’ambito degli elenchi dei Comuni montani sono definiti, con ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, i criteri per l’individuazione dei comuni montani destinatari delle misure di sviluppo e valorizzazione previste dalla presente legge e contestualmente l’elenco dei comuni montani beneficiari (comma 2). Tali classificazioni dei comuni montani non si applicano nell’ambito della politica agricola comune (PAC) dell’Unione europea e ai fini dell’esenzione IMU per i terreni agricoli ubicati nei comuni montani (comma 3).
Dunque, leggendo questi commi, vi sono di fatto almeno tre “classificazioni”, ai sensi della legge nuova. La prima è quella in fase di costruzione; una seconda, per individuare – con un sottoinsieme – i Comuni montani beneficiari delle risorse e dei provvedimenti (recita la legge: sulla base dell’adeguata ponderazione dei parametri geomorfologici di cui al comma 1 e di parametri socioeconomici); e ancora una terza, ovvero quella finora utilizzata che individua i Comuni – recita la legge – beneficiari delle misure previste nell’ambito della Politica agricola comune (PAC) di cui agli articoli 38 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché ai fini dell’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) per i terreni agricoli ubicati nei comuni montani ai sensi dell’articolo 1, comma 758, lettera d), della legge 27 dicembre 2019, n. 160, le quali continuano ad essere regolate dalle rispettive discipline di settore.
La nuova classificazione della nuova legge (quella finora in stand by) montagna NON dovrà agire anche su un altro tema fondamentale per la montagna. Ovvero quel punto che tocca le imprese e i datori di lavoro aventi sedi ed operanti nei Comuni montani, i quali, in deroga alle norme sul collocamento della manodopera, ai sensi dell’art. 18 della Legge 97/94, possono assumere a tempo parziale o in forma stagionale i coltivatori diretti residenti negli stessi comuni, anche se tali soggetti svolgano l’attività agricola come autonomi iscritti debitamente all’ Inps Gestione Agricoli (ex Scau). Tali tipologie di assunzioni non prevedono oneri previdenziali e permettono dunque di beneficiare, per tutto il tempo del rapporto di lavoro, dell’esonero totale dei contributi. Si ricorda che l’Inps aveva chiarito, con la circolare n. 154 del 16 maggio 1994, che per comuni montani si intendono i “Comuni facenti parte di comunità montane” ovvero i “comuni interamente montani classificati tali ai sensi della Legge 1102/71 e s.m.i”.
Su questo punto occorre evitare ogni futuro errore e ogni salto nel buio. Si deve continuare ad adottare il sistema in essere per evitare caos tra lavoratori e imprese. Uncem sarà chiarissima.
C’è poi un ulteriore punto, interessante. Che riguarda, nella nuova legge montagna, l’articolo 4, recante “Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane”. Il comma 3, inserito con emendamento della maggioranza in sede di esame parlamentare, aumenta la complessità della classificazione dei Comuni.
Il comma 3 precisa che le Regioni, in attuazione della propria programmazione, definiscono, le modalità di assegnazione degli stanziamenti.
Dunque, le Regioni possono investire risorse sui Comuni anche oltre la classificazione dell’articolo 2 della legge montagna. Dove ritengono.
È da tenere presente un’altra cosa.
La nuova classificazione dei Comuni non incide sugli Enti e sui territori che possono far parte (già ne fanno parte e ne faranno parte in futuro) di Comunità montane, Unioni montane, Comunità di Montagna. Precisiamo che ogni classificazione regionale, ogni riferimento regionale a precedenti classificazioni nazionali dei Comuni montani, per qualsiasi provvedimento di natura regionale (anche per l’assegnazione di risorse, premialità di bandi, inserimento di Comuni in Enti sovracomunali, stanziamenti di Fondi ATO alle Unioni montane, valorizzazione del pagamento dei servizi ecosistemici-ambientali) non viene messo in dubbio dalla nuova classificazione nazionale dei Comuni montani.
Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, la materia degli interventi a favore delle zone montane rientra tra le competenze legislative residuali delle Regioni. Con la riforma costituzionale del 2001, l’articolo 117 indica, in primis al comma 2, le materie attribuite allo Stato e quindi, al comma 3, le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Al comma 4 viene pertanto definita la c.d. “potestà legislativa residuale” spettante alle Regioni per ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. La montagna e le aree montane, non figurando né tra le competenze esclusive statali, né tra le competenze legislative concorrenti, rientrano pertanto – per esclusione – nelle competenze legislative residuali delle Regioni.
Uncem da vent’anni dice che il Paese non ha bisogno di nuove classificazioni. Togliere oggi Roma e vedere oggi inserite Reggio Calabria o Varazze, Cuneo o Biella, ha veramente poco senso. Avere univochi parametri per Alpi e Appennini, per mezzogiorno e settentrione è assurdo. Come è assurdo e dannoso considerare la “vera montagna” nelle Alpi e “aree interne” gli Appennini. Abbiamo sentito anche questa cosa stupida. Togliendo di mezzo ogni banalità, Uncem ribadisce un concetto istituzionale: sulla classificazione dei Comuni montani occorre evitare ogni scontro, frammentazione, divisione. Non possiamo permetterci rotture, difficoltà di dialogo, muri. Per questo Uncem dice da vent’anni che le classificazioni dei Comuni montani, con parametri uguali in tutto il Paese, non servono. Allora, come oggi. Evitiamo di dividere i territori, e i Sindaci. Concentriamoci sulle sfide e sulle opportunità vere.
Uncem negli ultimi tre mesi non è stato coinvolto nella stesura del decreto sui Comuni montani. Grave errore voluto da alcuni. Forse perché, da un anno e mezzo diciamo che non va fatto quell’elenco. E così, meglio escluderci. Noi i ponti e le reti le facciamo. Le stendiamo oggi verso il Ministero e chiediamo alle forze politiche di lavorare insieme, all’opposizione in Regione di agire con l’Assessorato per trovare nuove soluzioni alla classificazione, per investire ancor meglio le risorse economiche, per evitare scontri e incomprensioni. Dialogo sempre. È la regola di un buon Sindacato, quale prova a essere Uncem.
Uncem
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