“SENZA DIRLO A NESSUNO”, GIORGIO SCIANNA ESPLORA L’ADOLESCENZA

CALOLZIOCORTE – L’Istituto Rota, nella serata di mercoledì 10, ha ospitato lo scrittore Giorgio Scianna in occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Senza dirlo a nessuno”. Ad intavolare il dialogo con l’autore erano presenti tre giovani studenti dell’istituto, Alice Tavola, Gloria Dell’Oro e Carlo Menichini.

La serata si è aperta con i ringraziamenti della professoressa Valeria Valsecchi e l’augurio della preside Carmela Teodora Carlino, che ha ricordato che “il libro è un oggetto misterioso, in cui ognuno di noi è libero di esplorare il testo ed interpretarlo”.

Scianna ha introdotto la trama dell’opera, sollecitato dai giovani intervistatori: “Manish, sedicenne londinese figlio di genitori separati, è stato arrestato in un parco di Roma per spaccio; il giovane non dovrebbe trovarsi lì, ma nella sua casa di Londra, insieme al padre Kirti. Dopo l’arresto la madre Barbara, che abita a Genova con una nuova famiglia, corre in aiuto del figlio, che la mattina dopo viene scarcerato. La madre si chiede cosa sia successo, si ferma a Roma e dà l’incarico ad un avvocato di capire. La famiglia si ritrova così nella Capitale in un tempo sospeso, che si svolge in tre settimane e un giorno, a riannodare i rapporti e capire cosa sia successo”.

I ragazzi hanno poi voluto sapere come Scianna, classe ’64, sia riuscito ad immedesimarsi in un adolescente: “Nei miei romanzi ho scritto degli adolescenti sia dal loro punto di vista sia vedendo un territorio di frontiera tra generazioni o storie di famiglia; questo espediente è nato per caso, dalla mia esperienza personale con figli adolescenti: ho voluto esplorare senza giudizi un mondo con cui dovevo fare i conti e ne sono rimasto affascinato, perché la vostra generazione oggi è raccontata poco e male. Con la voglia di sporcarmi le mani e andare oltre lo slogan dei “giovani iper-connessi”, giro per le scuole per mettermi e mettervi in discussione, in un dialogo con un “autore vivente””.

“Ogni libro è una scommessa – ha proseguito Scianna – perché rappresentare i ragazzi, pur conoscendoli, è complicato: il loro lessico e la costruzione del linguaggio sono in costante evoluzione in ogni tempo e luogo. Inoltre la scrittura richiede di conoscere il linguaggio, ma con il passo ulteriore di reinventarlo; ad esempio, registrare un dialogo reale tra ragazzi e riportarlo sulla pagina suona falso e non corretto, perché fa perdere la componente d’immaginazione e paradossalmente non lo rende credibile, ma solo asettico”.

I ragazzi hanno poi chiesto a Scianna il processo creativo dietro i tratti indeterminati di Manish. “Manish è stato la scommessa di un personaggio ineffabile, un ragazzo in bilico tra molte identità, a partire dal melting pot culturale: il padre ha sempre vissuto con lui e, dopo la separazione, i due sono rimasti soli, ad incrociarsi come coinquilini, mentre la madre ha dietro di sé l’ombra di non aver visto tutta la crescita del figlio. Il padre non lo conosce come la madre, ma non è ossessionato dal conoscerlo come lei”.

“Per ritrarre Manish – ha proseguito Scianna – ho pensato come il padre, senza l’ansia di dover “mettere le crocette” sulla sua definizione. Questa generazione non ha ansia di definirsi, ha praterie di possibilità, una fluidità che va oltre la questione di genere e la bellezza di potersi inventare come persone: ciò è meraviglioso ma difficile, nella mia adolescenza c’erano modelli molto chiari e la scelta era tra seguirli o distruggerli; per voi ci sono meno modelli e questo può portare smarrimento, mentre Manish “ci surfa”, va avanti sperimentando e cercando con allegria il suo posto nel mondo, ma allo stesso tempo facendo qualche inciampo”.

Un aspetto importante del libro e del personaggio di Manish è la musica: “La musica è un’arte in cui ci si identifica, come in passato era il cinema; oggi ci accompagna ogni giorno con lo streaming e ci parla di noi. Nella stesura mi sono chiesto, uno come Manish, il padre o il giovane Ivan, che musica ascolterebbe? Manish ascolta drill, la musica dei suoi coetanei, la musica di Londra, forse per immergersi in ciò che lo circonda; Ivan la musica italiana dei suoi genitori, forse perché è legato al passato. La musica è anche un modo per conoscersi e legare, come nel caso della madre, alla ricerca di legami anche tramite le canzoni che ascolta il figlio”.

I genitori di Manish hanno due stili educativi diversi, il padre “amico” e la madre separata che vuole recuperare il rapporto: “Kirit fa il fotografo e il videomaker, Barbara è dermatologa, si scontrano un approccio creativo e la razionalità; nella casa di Londra padre e figlio girano sempre scalzi, in un modo tutto loro di vivere lo spazio, che Barbara ricorda come “vita scalza”; la madre cerca di comprendere il mondo con le sue categorie e la razionalità. Entrambi devono fare i conti con il figlio, che non ha mai dato problemi e ora ha bisogno di aiuto: in un gioco di sintonizzazione, la madre si placa rapportandosi con Manish, mentre il padre scopre le zone d’ombra del figlio che non aveva scorto nella vita di tutti i giorni”.

Ha fatto sorgere curiosità anche l’ambientazione del romanzo, un’insolita Roma in estate: “Finora ho ambientato i miei romanzi a Milano in uno scenario metropolitano e a Pavia in uno provinciale, perché mi piace raccontare in maniera vera luoghi che vivo; in questo caso ho scelto perché è una zona franca per i tre e l’ho raccontata partendo dai portali d’accesso dei turisti, la stazione Termini, via Nazionale e via Cavour, tipici di chi a Roma rimane per poco; loro però non sono lì per turismo, ma per parlare con gli avvocati, per cui ho bandito il turismo e i monumenti, ad eccezione dei parchi: madre e figlio ci si riparano, si dividono e li vivono, attraversando tutta la città da un parco all’altro”.

Scianna ha concluso la serata con un’inedita visione sui suoi romanzi, sollecitato da una domanda su un possibile adattamento cinematografico del libro: “Sono affascinato dal linguaggio di film e serie tv, che in parte rivedo nella mia scrittura: scrivo per immagini, utilizzando digressioni psicologiche che vedo bene in questi linguaggi. Credo che chi scrive un libro pensando già ad una sceneggiatura, non possa che scrivere un pessimo romanzo che non diventerà un film, perché il libro è dotato di una maggiore ricchezza di linguaggio e permette di proiettare un mondo costruito che si perderebbe in una scrittura del genere”.

Michele Carenini